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Lilla Consoni

Streghe, megere e vecchie infernali

La terza età nella fiaba

Da Miopia n.30, settembre 1997, numero monotematico IL TEMPO DI ECATE


Il Sabba delle streghe
Francisco Goya, olio su tela, ca. 1820, particolare
(Link da http://digilander.libero.it)

I fratelli Grimm, che nel 1812 cominciarono a pubblicare le fiabe raccontate loro da anziane balie e contadine, erano convinti che tali fiabe derivassero da miti e leggende dei popoli germanici precristiani. Il che non è sbagliato: è solo insufficiente. In realtà, la lingua simbolica delle fiabe affonda le radici in un’epoca ancora più lontana: l’età della pietra! Le nostre (purtroppo manipolate e mutilate) narrazioni fiabesche sono espressioni di quelle che l’archeologa Marija Gimbutas chiama “il linguaggio della Dea”, un linguaggio in cui si riverbera, tra l’altro, la concezione ciclica della vita.

L’universo preistorico-matriarcale è attraversato da una Forza Vitale che conosce alti e bassi, sparizioni e ritorni, aridità e fertilità. La Dea è, in fondo, un’energia, presente in tutti e in tutto. E l’energia, c’insegnano la chimica e la fisica, non si perde e non si distrugge: si trasforma.

La civiltà della Dea è una civiltà della Trasformazione, del continuo passaggio da una fase all’altra, in una danza a spirale senza strappi e cesure (niente a che vedere con i concetti di Morte e Resurrezione che sono il portato, drammatico, di una logica degli opposti e della separazione). La vita cuoce e schiuma in un calderone, metafora del corpo femminile. E la Vecchia che rimesta nel paiolo è una sacerdotessa, o la stessa Dea (vedi la celtica Cerridwen), mai un’orrenda megera, una perfida avvelenatrice.

Ora, “scorribandando” nelle fiabe, troviamo centinaia di streghe cattive, nerovestite e bitorzolute. In misura minore incontriamo anche vecchie sagge, dispensatrici di buoni consigli. La dicotomia brava vecchina/malvagia vecchiaccia ne rispecchia un’altra, più famosa: Madonna/Puttana.

Secondo la Gimbutas, una visione del mondo dualistica venne diffusa da quelle popolazioni nomadi indoeuropee che, provenendo dal Caucaso, si riversarono in Europa a partire dal 2.900 avanti Cristo. Questi popoli guerrieri introdussero nuovi “valori” e nuove categorie di giudizio; si cominciò a pensare in termini di Buono/Cattivo, Giusto/Sbagliato ecc. LA DEA FU SPACCATA IN DUE.

In una logica “unitaria”, anzi, in una comprensione globale prelogica, il Bene e il Male si mescolano e si compenetrano, e non si chiamano neppure “bene” e “male”. Proviamo ad entrare in relazione con la Vecchia in un’ottica matriarcale. Chi è questa Vecchia? Che cosa rappresenta? Dipende...


Un'illustrazione della fiaba di Rapunzel
(Link da www.designsponge.com)

A volte, è un simbolo della terra che, per rinnovarsi, deve prima sfiorire; l’albero, per rinverdirsi, deve perdere le vecchie foglie, che vanno a concimare il suolo; il campo di grano passa da lussureggiante distesa bionda a testa rapata, irta di stoppie. Così, nella fiaba di Rapunzel, alla finestra della torre si affaccia una bella fanciulla dalla chioma d’oro, e il principe se ne innamora; ma la strega (!) che tiene prigioniera Rapunzel scopre l’intesa tra i due e taglia la treccia alla ragazza. Quando il principe, come al solito, scala la torre aggrappandosi ai capelli della giovane, si ritrova di fronte, all’improvviso, il ghigno satanico della vecchia. Tralasciando la comicità involontaria della scena (io, arrivata a questo punto, rido sempre di gusto), tralasciando i principi e le storie d’amore, soffermiamoci su questo recidere le chiome, connesso alla trasformazione da fanciulla a donna anziana.

La simbologia è stupefacente. La terra passa dall’estate all’autunno, per inoltrarsi nell’inverno (che, lo sappiamo, sfocerà nella primavera: CICLICITA’). Il taglio dei capelli è, nei miti, immagine della mietitura e del ritmo delle stagioni. Un esempio fra tanti: la Dea nordica Sif, che l’Edda canta come “Sif dalle belle chiome”, e a cui il nemico Loki recide la folta capigliatura... Decodificando: un semplice alternarsi delle stagioni, scandito dalla falciatura. In molte civiltà contadine, l’ultimo covone è sacro; col suo grano si fa spesso un pane speciale, che viene conservato tutto l’anno, ed è come un pegno, come una garanzia che il grano nascerà ancora.

Un’altra “funzione” della Vecchia nella fiaba è quella di “Hagazussa”, voce del tedesco antico, da cui pare derivi il vocabolo “Hexe”, strega. Ma Hagazussa, letteralmente significa “Colei che cavalca lo steccato - o la siepe -”, ed è un bellissimo titolo onorifico. L’Hagazussa sta al confine fra l’aldiqua e l’aldilà, vive ai margini fra bosco e villaggio, viaggia fra mondi e dimensioni diverse/i. Lei, che conosce bene la vita (i lustri non sono passati invano sul suo corpo solcato dalle rughe), è entrata in confidenza anche con la morte, persino con la propria morte, la quale non arriverà a sorpresa, ma sarà prevista e attesa.

La Vecchia nella sua veste di Hagazussa è maga e guaritrice, ma soprattutto maestra di vita, donna saggia.

E il demoniaco con cui è in contatto non ha nulla d’infernale. Per capire, rifacciamoci all’origine della parola “demone”, cioè il greco “daimon”, spirito della casa, angelo custode; un concetto simile esprime il latino “genius”. I demoni e demonietti dell’antichità erano in realtà spiritelli, elfi e gnomi, personificazioni della natura, anche della natura umana, della “psiche” (in termini moderni). Il cristianesimo divise tali esseri soprannaturali in “buoni” e “cattivi”, e così nacquero gli angeli e i diavoli.

La nostra Hagazussa, quindi, è solo una donna capace di relazionarsi con la natura interna ed esterna: è la Madre del Demonio nella fiaba “I tre capelli d’oro del Diavolo”! Il figlio le rivela le cause dei mali degli uomini, e lei si serve di queste informazioni per lenire le sofferenze: una Vecchia mediatrice fra l’umanità dolente e le forze rigeneratrici che ‘dormono” in grembo all’universo (il diavolo dorme appoggiando il capo sulle gambe della madre, che sta seduta e lo accarezza).


Un'illustrazione di Frau Holle
(Link da http://2.bp.blogspot.com)

E, per finire, la Vecchia nella fiaba è sovente - tout court - la Dea. Come ad esempio nel racconto di “Frau Holle”, in cui la ragazza, scesa in fondo al pozzo per ritrovare il fuso sfuggitole di mano, vede una vecchia dalle lunghe zanne affacciata a una finestra. La vecchia è Frau Holle, venerata dai popoli germanici sotto diversi nomi, fra cui Holla, Freya e Berchta. Particolare interessante: l’inferno, in tedesco, si chiama HOELLE! I lunghi denti della dea rimandano a certe raffigurazioni della Gorgone, e si rifanno al culto di una divinità “selvaggia” e “cinghialesca”, che, però, va vista in un’ottica non patriarcale... Mi piacerebbe scrivere un libro dal titolo: “Di là dalla Vagina Dentata. Quando le donne avevano le zanne”. Per il momento, mi limiterò a prendere congedo dalla Vecchia e da voi, lettrici e lettori di “Miopia”, dandovi appuntamento al prossimo numero.

Lilla Consoni

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