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Elena Fogarolo

La manopola del rumore

Chi regola il volume del suono mondiale?

Da Miopia n.15, dicembre 1992  


«È impossibile chiedere a una popolazione di essere pacifica, civile e, ancor meno, affettuosa, se è costantemente sottoposta a shock e tensioni acustiche. [...] Distruggendo le nostre percezioni acustiche, noi distruggiamo una buona parte della nostra identità»

Luce Irigaray (1)

Che la nostra sia una società rumorosa, che stiamo diventando sordi per l’inquinamento acustico, è ormai una faccenda scontatissima. Ma chi e perché fa rumore? “Come? - ti risponderanno subito - chi vuoi che faccia rumore? i macchinari che producono, che migliorano il tenore di vita, anche il tuo”. Ora, c’è una tolleranza per il rumore, anche quando viola apertamente il codice, che è spia di molte cose. Per esempio, quanti ragazzini girano con le moto smarmittate? e quanto si indulge, quanto si chiude un occhio su questo fatto? Se protesti, qualcuno (e sarà uomo) dirà: “devono fare qualcosa anche loro! e poi cosi si sentono grandi! a quell’età ne hanno bisogno!”.

L’autorizzazione a fare rumore, se la danno l’uno con l’altro i maschi. Alle donne, agli anziani, ai maschi più miseri, resta il compito di sopportare, a volte di applaudire il rumore degli uomini. Questi ruoli per sesso sono antichissimi: il rumore è potere. Nelle società povere, i tamburi i corni i petardi sono occasioni di rumore eccezionale, straordinario, e sono gestiti sempre dai maschi. Anche la corda delle campane dei campanili veniva toccata solo da maschi: così il campanello in chiesa, e il venerdì santo la raganella di legno che lo sostituiva.

Il rumore, prima dell’avvento dei motori, si caratterizzava o come sacro o come profano. Se sacro, era quotidiano, regolato, ritmato. Se profano, era eccezionale, disordinato, caotico. Il rumore quindi si è sempre presentato come un valore, come espressione positiva di sé. La gran rumorosità delle prime automobili, possedute solo dai ricchi, era giustificata dalla loro eccezionalità. Nessuno avrebbe mai accettato, subito, l’esercito rumoroso di tutti gli autisti, e autiste, di oggi! Alle donne non era ammesso di essere rumorose, anzi: dovevano essere silenziose, parlare a voce sommessa, avere i passi leggeri, i gesti aggraziati. Il loro silenzio era il silenzio della casa e non era un silenzio molto difficile da mantenere. Tutto era silenzioso, anche troppo. E tutto era anche noioso, mentre il rumore era la rottura della noia, l’eccezionalità e la conseguente eccitazione...

Ora, il rumore è cresciuto talmente che il vecchio silenzio delle donne in un certo senso è diventato impossibile. Le donne sono attraversate dal rumore del mondo maschile. Le case non sono più silenziose: i muri non tengono fuori il traffico di una strada, il martellare assordante di un martello pneumatico, il rombare di un aereo. Il rumore, da eccezionale e significante, è diventato invasivo e insignificante; più ancora, distruttore di ogni significato.

Gli individui cercano di assuefarsi al rumore collettivo creando un proprio rumore personale, che delimiti almeno un territorio fittizio: così si vedono molte persone passare per la città con un walkman sugli orecchi. E in molte case la televisione va tutto il giorno. Nelle auto, vengono accese le radio.

Ma il rumore, comunque, ci fa impazzire. Come scrive Irigaray, non ci può essere nulla nel rumore, non affetto, non scambio di idee, non tenerezza: la tana umana viene annullata e le tensioni degli altri ci attraversano in ogni momento. L’uccisione del silenzio ha effetti letali: e continua ad essere ucciso, il silenzio, perché coloro che hanno il potere di parlare e di gridare non osano parlare contro il rumore, temendo di sembrare poco virili, essendo il rumore - anche se questo viene di solito taciuto - associato alle imprese guerresche.

Le donne, preposte da sempre al silenzio, cercano di ricucire un silenzio impossibile, un silenzio che non produce più nulla, che è solo devastazione psichica, pazzia, alienazione delle fibre più intime, stupro dell’anima. Le donne si sforzano, come tradizione insegna, di adeguarsi alle azioni maschili, di trovarle belle, significative, e di giudicarne insignificanti gli effetti negativi. E una che lamenti invece il fastidio del rumore, verrà bollata al solito come esagerata, “storiosa”, malata di nervi: la donna che non subisce il potere maschile è infatti una disadattata sociale. Però di questi tempi il silenzio delle donne può salvare il pianeta; o meglio il bisogno di silenzio delle donne, che deve pero essere detto.

Questa contraddizione assomiglia molto all’impasse che blocca le donne sul potere, da un lato abituate a non volere il potere, a detestarlo, a vederne gli aspetti orribili; dall’altro, necessitate ad avere il potere di denunciare le nefandezze del potere, ad avere il potere di mutare il potere. Rari uomini si affiancano a questo tentativo di umanizzazione femminile del mondo: Pietro Ingrao su L’Unità spinge le donne del suo partito a“non transigere con l’arroganza maschile”(2). Il guaio è che questi discorsi Ingrao li fa da uomo vecchio. Non che sia un male che un uomo approdi in vecchiaia a una maggiore saggezza. Ma egli dovrebbe anche, per essere credibile, rivedere autocriticamente come ha gestito la maturità della sua vita.

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1) Luce Irigaray, II tempo della differenza, pag.17, Editori Riuniti 1989.
2) Citato da Clara Jourdan in Via Dogana n.5.

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