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Elena Fogarolo

Il ritorno di Gea

Da Miopia n.18, settembre 1993



Dal largo petto, dimora sempre sicura di tutti
(Esiodo)


Secondo Esiodo, l’antico poeta greco, Gea fu la prima divinità: uscì dal Caos e, da sola, generò il Cielo. Poi, unendosi a lui generò gli altri dei.

Nella tarda religione olimpica, Gea non è ormai che una delle tante dee soggette a suo nipote Zeus, e, non partecipando alle attività dei maschi, è messa in disparte.


Gea - particolare dell'Ara Pacis di Roma, epoca augustea
Gea
Particolare di altorilievo
dell’Ara Pacis di Roma, epoca augustea
(Link da http://41.media.tumblr.com)

Gea genera il cielo: non solo essa viene quindi prima di ogni altro elemento, ma ha in sè la forza per farlo venire al mondo.

Il Cielo come lo intendevano i Greci non ha nulla a che fare con il nostro cielo. Il cielo greco si limitava a comprendere quello spazio esterno alla terra che noi ora consideriamo appartenente alla biosfera: come è noto, sole pianeti e tutto il resto venivano visti in funzione della terra, centro e fulcro di ogni movimento.

Questo cielo greco non concepiva quindi le tremende distanze siderali che caratterizzano il nostro cielo. Andare in cielo, finché l’astronomia moderna non impose i suoi concetti - non significava in fondo che un sollevarsi da terra: le anime che ascendevano avevano ali di uccello e il Paradiso, come lo vediamo ancora oggi rappresentato in molte volte di chiese e palazzi, veniva collocato al livello delle nuvole. Da lì ancor oggi madonne santi e cherubini guardano in giù. Il cielo era insomma una dépendance più elevata della terra, che con la terra però manteneva stretti rapporti, dovuti anche alla vicinanza.

Dante, nel suo viaggio, entra nella terra e ne esce dall’altra parte. Poi con una serie di salite e voletti ascende al cielo: un piano attico, niente di più.

Ora però sappiamo che le cose non sono così: il “cielo” si estende a dismisura, è vuoto o quasi, ci navigano infiniti corpi probabilmente quasi tutti disabitati. Cosa pensiamo quindi realmente quando pensiamo che Dio è in cielo, e che dopo la morte si va in cielo? È impressionante notare quante persone, anche credenti e praticanti, sono sgomente davanti al problema dell’al di là. Sebbene la teoria eliocentrica di Copernico e Galileo - per cui la terra non è il centro di tutto - risalga a quasi mezzo millennio fa, direi che niente come la televisione ha potuto mutare in profondità la geografia celeste delle persone.

Quello che si è pensato per millenni, è impossibile da pensare. Dio non è sopra di noi, i nostri morti non salgono in cielo, né da lì ci guardano.

Storicamente, Il culto del cielo è legato ad una religione fortemente patriarcale. Cristo usa sì alcune espressioni allineate con la religione patriarcale, come “padre nostro che sei nei cieli”, ma dice anche “il regno di dio è dentro di voi”.

Cioè sulla terra, anzi dentro la terra: visto che noi siamo materia appartenente alla terra. Lo svilimento della materia, l’uccisione di Gea, ha portato a una sorda ma profonda disperazione: il continuo studio del corpo umano, lo svelamento della complessità dei processi fisici, l’unione inscindibile fra psichico e materico, ha inciso profondamente nell’immaginario collettivo. Anche se non lo si vorrà ammettere, si sa bene che siamo il nostro corpo. Il che non sarebbe nulla di male, se per millenni il corpo non fosse stato separato dall’anima, insultato, offeso, brutalizzato.


Chi può davvero desiderare che, dopo la morte, l’anima emigri in fredde sconosciute zone siderali? Avrebbe l’aspetto di un Inferno, questo moderno Paradiso.

È molto consolante invece pensare che si rimarrà qui, che la terra, la madre, non ci lascerà mai. Che siamo legati ad essa non solo nel breve arco della vita, ma prima e dopo. Prima della nostra comparsa come esseri umani, gli elementi che ci compongono, associati in altro modo, sono sempre stati sulla terra, parti della terra.

Dopo la nostra morte Gea, o Kali, si riprenderà il nostro corpo per ricomporlo nella sua danza vitale. Mentre gli altri dei olimpici hanno - mi pare - un valore prevalentemente metaforico, letterario o simbolico, Gea ha una vitalità che trascende il ciclo in cui è inserita.

Essa non è stata del tutto bandita neanche da questa religione: però è stata molto offuscata. Più che in Maria, la vedrei presente nel rito della comunione, del pane e vino: Cristo che diventa terra. Non ne farei comunque una questione di genere: anche se, ovviamente, storicamente è significativo che la terra sia stata adorata come una divinità femminile, non si vuole certo imporre una dea donna come più giusta, per tutti, di un dio uomo.

Sappiamo benissimo che possiamo vivere solo qui: anche le navicelle spaziali in orbita attorno alla terra, che sono se non piccoli uteri che riproducono una terra in miniatura? La terra infatti non è solo luogo, ma scambio continuo. Nella nostra vita noi non rimaniamo, come blocchi di marmo, rigidamente separati, noi stessi mutiamo: lo scambio con la terra, l’assunzione di nuovi elementi e l’eliminazione di vecchi, è continua. Nella tecnica yoga si viene invitati a riflettere che ad ogni respiro noi ingoiamo ossigeno, che veniamo quindi nutriti dalla terra.

Se Galileo ha dato la prima grossa spallata alla tradizionale cosmogonia occidentale, la scienza moderna l’ha distrutta.

I fermenti ideologici ecologicistici, le comunità verdi ecc. sono tentativi di dare altre risposte, non solo intellettuali, allo smarrimento di una psiche privata dei millenari mezzi consolatori. Certo che amare la terra dopo averla tanto odiata non sarà facile.

Elena Fogarolo

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