Elena Fogarolo
Simili a comete
Da Miopia n.33, febbraio 1999, numero monotematico ETEROSESSUALITÀ TRA CRISI DEL PATRIARCATO E LIBERTÀ FEMMINILE
Sesso naturale
Due donne, che si amano e che vivono insieme, desiderano avere un figlio. Un amico fidato, in una stanza appartata, espelle il proprio sperma in un contenitore. Una delle donne ritira il contenitore, raggiunge la compagna e con una siringa le inietta lo sperma nella vagina.
La situazione sopra descritta, con alcune varianti, sta diventando più frequente. Chi condanna, lo fa di solito appellandosi alla natura: si tratterebbe di procedure, appunto, “contro natura”.
Allora, per misurarci con la natura, volgiamo un po’ lo sguardo agli animali che praticano un accoppiamento simile a quello umano (lasciamo stare però le scimmie rinchiuse negli zoo e tutti gli animali d’allevamento).
La prima cosa che notiamo, come regola quasi assoluta, è la brevità del coito. Sembra che i maschi di quasi tutte le specie del creato soffrano di eiaculazione precoce.
C’è anche fra i maschi umani un gruppo che soffre di eiaculazione precoce: sono i maschi giovanissimi. Basta che sfiorino una donna e zac, lo sperma erompe come quando tocchi i semi di una pianta del gruppo impatiens. Chi l’ha detto che questa eiaculazione breve, di cui soffrono tutti i maschi del creato più i maschi umani giovanissimi, sia “precoce”? Chi l’ha detto che viene troppo presto? Non è anzi naturale la sua brevità? Certo, è naturale; ma non conforme alla quantità di piacere che il maschio umano moderno si aspetta dal coito.
Torniamo alle nostre lesbiche con l’amico in un’altra stanza: a guardare bene, sono più naturali loro. Il maschio ha un tocco furtivo, veloce, diciamo essenziale. Non si può dire, anche qui, che siamo nella “natura”. Però si tratta di una situazione solo apparentemente più complicata della “norma”, ma che in realtà è più semplice: c’è un maschio che non pretende di fare il padre patriarcale, che non pretende che una donna si pieghi ai suoi desideri. Ha portato il suo seme, si fida della sapienza delle donne, di come cresceranno il bambino, e se ne va senza avanzare pretese.
Molte discussioni attuali, che hanno per oggetto i mutamenti nella procreazione e nei rapporti fra i sessi, nascono dal pregiudizio per cui la cultura sessuale prodotta dal patriarcato sarebbe “natura”, e per cui le donne che contestano questa cultura andrebbero “contro natura”.
E per quanto riguarda i giovani maschi che “soffrono” di eiaculazione precoce: se il primo coito sarà appunto “naturalmente” uno sfiorarsi di pochi secondi, il secondo sarà più adatto a procurare, al maschio e forse anche alla donna, quel piacere che viene considerato “naturale” ma che naturale non è.
Il coito umano tende ad essere, si vorrebbe che fosse, molto lungo. Quanto lungo? Le donne sulla sessualità hanno preso la parola proprio da poco tempo. Una parola così recente, così spezzata, che è difficile decifrarla davvero e trarne una regola. Ad esempio in La donna vaginale e la donna clitoridea di Carla Lonzi, si può ascoltare una di queste voci di donne ancora acerbe, solitarie. Comunque è una voce che va presa sul serio: ad alcune donne il coito lungo, così come lo concepiscono i maschi, non piace per niente. Non accettano modifiche, patteggiamenti. Altre donne invece, diversamente interessate al coito, accettano che questo venga modificato in funzione del piacere, e anzi esigono che ciò avvenga prendendo atto della loro presenza, del loro ritmo.
Parlando degli animali non umani, non si può non ricordare il corteggiamento, quell’insieme di rituali che gli etologi riassumono sotto il termine di “danza”. E’ quella danza che le donne sentono mancante. Quella danza è natura.
La dea Era dopo ogni rapporto sessuale si lavava in un fiume che la faceva tornare vergine. Cioè lontana dal maschio, di nuovo da conquistare, sedurre, corteggiare. Il mito allude chiaramente all’estro femminile, con la sua vicinanza-distanza dal maschio, simile ad una cometa che va e viene dalle terre gelate fino al sole.
Il corteggiamento che non trovi
Il corteggiamento nella specie umana è molto vario secondo i paesi, ma ha una costante: si svolge prima del matrimonio e una volta per tutte.
Qui da noi il corteggiamento aveva o ha il compito di abituare la ragazza alla presenza di un dato uomo: la ragazza si familiarizzava un po’ con questo estraneo, il quale cercava di essere gentile, di portarle qualche piccolo dono, di farle dei complimenti.
Il corteggiamento aveva poco di erotico, dando per scontato che lui era eccitato in partenza e che lei sarebbe stata docile, ma aveva comunque un suo valore: non per niente le donne che vivono dove si usa il corteggiamento (o dove c’è comunque frequentazione tra i due sessi) guardano con orrore agli usi di altri Paesi, dove il marito è del tutto imposto, e la sposa se lo trova davanti per la prima volta il giorno delle nozze.
Da noi il fidanzato assumeva, almeno parzialmente, un ruolo sottomesso, un ruolo di chi aspira, chiede, spera: non un ruolo di padrone.
Probabilmente in questa fase, in cui lui era più scoperto, le donne potevano indovinare dei lati simpatici, provare tenerezza, o ancor di più individuare i punti deboli dell’altro, trovare una strada per esercitare un po’ di potere.
Da quando le ragazze si trovano il futuro marito del tutto lontano dalla famiglia d’origine, usanze quali l’essere ammesso ufficialmente in casa come corteggiatore della figlia sono sparite o hanno perso valore, e praticamente il corteggiamento è finito.
In passato e anche oggi, chi trova il cammino per l’eros, lo trova un po’ per caso. Un’iniziazione sociale non c’è; al contrario, come è noto, i maschi vengono fortemente inibiti nell’espressione dei sentimenti e si abituano al sesso come masturbazione o rapporto mercenario e possono anche trovarsi poi davanti ad una donna pieni d’amore senza tuttavia saper esprimere tale amore in modo erotico, cioè secondo una danza che erotizzi anche lei.
E allora, questo aspetto delle donne come perenni vergini sacre, come Here, come cerve da riconquistare ogni volta?
Cielo! E quando si lavora? Con tutti questi giovani disoccupati, il problema potrebbe anche non porsi!
L’ira delle dee
Il sorriso delle donne amanti è un falso ideologico nella misura in cui viene presentato (e lo è sempre o quasi) come qualcosa di costante, di continuo. La sessualità femminile è in realtà segnata dalla ciclicità. Proprio perché è ardente, una donna desidera intensamente l’amante e con la stessa intensità lo respinge in un altro momento.
L’identità delle grandi dee del passato è segnata sempre anche dall’ira. Esse sono il sorriso e la collera. L’una non può essere senza l’altro.
La collera femminile, che non è distruttiva, che non spacca le metropolitane né tanto meno le facce degli esseri umani, è tuttavia radicalmente tabuizzata nonostante il suo carattere incruento, la sua semplice funzione di segnale che dice “non mi toccare, l’estro è passato”. La collera della donna amante ricorda che l’amante non è la madre, che il suo desiderio è ciclico e non assoggettabile a una logica oblativa.
E la medicina?
Una donna non è eccitata con il suo amante, ha scarsa lubrificazione vaginale, il coito è doloroso? Chi le dice: “hai provato con un altro uomo?”.
Questa domanda, che sarebbe la più logica, non è certo la più frequente. Mentre un uomo viene definito impotente se non ha erezione con alcuna donna, per la frigidità femminile si usa un criterio molto diverso. A una donna che abbia problemi di lubrificazione vaginale con il partner, non si dice quasi mai ciò che dovrebbe essere ovvio: “guarda che magari è un buon amico, ma non ti eccita, per la passione devi cercare altrove”. Le si prescrivono dei lubrificanti, le si insegna a rilassarsi, le si consiglia una psicoterapia. Anche in casi di vaginismo ostinato, è ben raro che le si chieda “gli uomini ti fanno così repulsione? Ma allora perché non lasci perdere?”. No, l’errore è in lei, nei suoi “traumi”, e anche qui via coi farmaci, con la psicoterapia, con l’intervento chirurgico.
E la sindrome premestruale? Quando ad una donna dà sui nervi tutto quello che il suo compagno fa? Quando è lampante che il matrimonio è una istituzione coercitiva, in quanto compagnia innaturalmente perpetua e coatta di donna e uomo e la cosa migliore sarebbe far presente alla donna che il suo amore per quell’uomo è legato agli ormoni, che è ciclico, che un uomo non può essere il suo unico amore e che lei spesso starebbe meglio con sua madre, con le sue sorelle, con le sue amiche...? Anche qui, le verranno proposti dei calmanti, la si farà ammettere che “è nervosa”, facilmente irritabile, e lei stessa si convincerà di avere “un brutto carattere”.
Le ragioni delle lesbiche
Molte lesbiche si irritano con le eterosessuali. Anche se a volte questa irritazione ha toni poco simpatici e un senso di superiorità pure non gradevolissimo, è una irritazione sana perché le donne eterosessuali che volenti o nolenti si prestano alla recita eterosessuale, che asseriscono che “lui” è tutto il loro mondo e che sono felici solo con lui, operano una cancellazione abusiva e autolesionistica dell’amore femminile per le donne. Amore di cui anche le eterosessuali usufruiscono, ma che - conformandosi agli schemi patriarcali - fingono vistosamente di disprezzare.
I bambini dell’aurora
Fino all’altro ieri la maggiore gioia che le donne potevano attendersi dal matrimonio, erano i figli. I mariti erano, di solito, un male necessario per accedere a quella meraviglia che erano i propri figli, queste creature amate e vezzeggiate che, uniche al mondo, le avrebbero chiamate “mamma”.
Adesso pare che ci si sposi o si conviva o comunque ci si innamori per tutto, eccetto che per la figliolanza. Ci si innamora degli uomini perché fanno ridere, perché finalmente con loro si può fare un viaggio all’Artico, perché si hanno gli stessi interessi... poi, ad un certo punto, “così”, scatta in lei l’orologio biologico e vuole fare un figlio!
Il fenomeno è molto più complesso.
Vegetti Finzi sostiene che nell’inconscio una bambina sa “da sempre” che avrà dei figli (il bambino della notte). Potremmo aggiungere che ad un certo punto della vita, un po’ prima o un po’ dopo l’innamoramento eterosessuale, una donna scopre coscientemente i bambini.
Il proprio bambino vero/bambina vera viene anticipato/a da un annunciatore o annunciatrice: una sorta di Battista che annuncia Gesù Cristo.
Anche le ragazze che non hanno mai guardato i bambini con simpatia, quelle magari stufe morte dei propri fratelli minori, quelle che davanti ad un neonato dicono come i maschi “che ridicolo, che buffo” ad un certo punto si innamorano. Di una creatura piccola. Può essere un piccolo parente, o figlio/a di conoscenti. Non è necessaria una frequentazione lunga.
A dire che scatta l’orologio biologico mi sembra di usare un’espressione inadeguata, che risente della mentalità meccanicistica dell’Ottocento, e che non esprime bene l’evento complesso che si mette in moto.
L’avvicinamento al maschio è uno dei passi. L’avvicinamento, o riavvicinamento, comunque una sorta di conversione verso i piccoli è un passo secondario solo secondo un’ottica molto recente, e solo nei nostri paesi industrializzati.
I bambini si rivelano alla giovane donna, studentessa, scout, guerrigliera, in carriera ecc. nel loro aspetto numinoso, come messaggeri sacri. Uno, una, fende la folla di questo popolo buffo e incomprensibile, raggiunge la ragazza, la prende per mano e la porta dentro il mondo dei gnomi. E qui si avvera una nuova misteriosa misurazione, quella segreta, inspiegabile, per cui tutto il peso dei “no” al figlio, così razionali che li può capire anche un uomo, vengono equilibrati da “sì” più profondi, che rispondono ad un’altra logica.
Questi piccoli messaggeri hanno individuato la nuova età della ragazza, che non è più la giovane zia giocherellona, l’amica grande con cui fare giochi più spericolati, ma una simile alla madre, una madre potenziale, in pratica una già madre.
Elena Fogarolo