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Gastone Redetti

Ambiguità di Amleto

È Amleto un nobile antenato di Peter Pan?

Miopia n.9, maggio 1991.


L'attore Edwin Booth (1833–1893) nella parte di Amleto
L’attore Edwin Booth (1833–1893)
nella parte di Amleto
(Link da ichef.bbci.co.uk)

Nel celebre dramma scespiriano, Amleto ci è presentato nella seconda scena, infelicemente circondato dai suoi parenti e dalla sua corte: lo zio che ha preso il posto del re padre di Amleto, morto da pochi mesi; la madre che con questo zio usurpatore ha accettato di risposarsi; un gruppo di cortigiani.

Le prime parole pronunciate da Amleto mostrano il suo disagio e già pongono il personaggio sotto il segno fondamentale dell’obliquità: un sarcasmo contro lo zio (recitato, come si dice, “a parte”) è seguito da una frase sibillina pronunciata a voce alta, e che esprime - tramite un sottile doppio senso - la segreta rivolta contro l’uomo che è divenuto ripugnante patrigno.

La prima immagine di Amleto è dunque quella di un uomo che si nasconde, in parte a causa dalle circostanze, in parte a causa del temperamento.

Prima di venire a sapere che lo zio è l’assassino del re, Amleto si maschera dietro una malinconica stravaganza per celare i sentimenti ostili e la gelosia; dopo, fingerà la follia per mascherare i progetti di vendetta.

Le tristi sembianze di Amleto, il suo aspetto strano, quel certo che di sotterraneo ed ermetico, racchiudono invece - ci fa intendere Shakespeare – un’anima appassionata, ferma e bella nell’amicizia, sincera nell’innamoramento, illuminata dall’intelligenza: il suo mondo non vede tuttavia le belle qualità e la grazia che ben vedono gli spettatori o i lettori.

Dunque non per difetto di doti Amleto è infelice, ma perché è un Incompreso: ferito dalle scelte amorose della madre, tenuto a distanza dalla prudente freddezza di Ofelia (consigliata in ciò dal vecchio padre), trattato infine dallo zio patrigno con una sorta di irritante paternalismo.

Come è ben noto, nella introversa malinconia di Amleto si accende una febbre improvvisa quando il fantasma del re suo padre gli rivela di essere stato assassinato proprio dal fratello, lo zio di Amleto. Esortato dal fantasma, Amleto si vota alla vendetta.

Questo proposito non sarà mai attuato. Tutto il dramma è dominato dal problema della sostanziale inazione di Amleto, dal conflitto tra la necessità rapida dell’azione e l’indole meditativa del protagonista.

L’azione sottratta all’istinto per eccesso di riflessione è in realtà perduta per sempre.

Amleto si attarda a verificare l’accusa contro lo zio.

Raggiunta la certezza, ancora indugia, mentre lo zio - messo bene in guardia proprio dall’inquietante comportamento di Amleto - ordisce un complotto che deve condurre il nipote all’esilio e alla morte. Amleto sfugge alla trappola quasi per caso, torna al castello, ancora indugia, ancora si trama contro di lui. Alla fine, di nuovo per caso, la morte a lui diretta farà ecatombe anche dei suoi nemici e di sua madre.

Amleto ci appare un pesce fuor d’acqua in una società di guerrieri impulsivi e astuti. Il cuore simpatizza e vorrebbe vedere in lui una specie di illuminato, un taoista d’Oriente. Ma tale egli non è: in realtà egli non conosce in alcun modo una saggezza della non-azione; Amleto agisce ma inadeguatamente e il suo mezzo-agire smuove valanghe di male.

L’immensa fortuna di Amleto - strano caso di personaggio d’invenzione che assurge quasi al rango del mito - si spiega a mio avviso con l’enorme potenzialità di identificazione che esso offre all’anima maschile (si può dubitare che Amleto sia un grande mito maschile?). Abbiamo amato Amleto per la sua diversità, il suo disagio. Un anti-eroe, allora? Il rovescio di Rambo? Un’alternativa simbolica ai nostri riti di virilità? Il riscatto dell’autenticità dell’animo maschile che entra in conflitto con il ruolo codificato?

No, aggrapparsi a una di queste definizioni per spiegare la nostra simpatia per Amleto risulterebbe un abbaglio.

Perché Amleto è in primo luogo lo spodestato figlio di un re. E in questo credo si debba cercare il motivo profondo del fascino e dell’identificazione maschile: che Amleto soffre il disagio di qualsiasi uomo che senta di non occupare il posto che gli spetta naturalmente. Perché “ogni uomo è re nella sua casa”.

“Tu sei un re” viene detto, suggerito, mostrato al figlio maschio che viene al mondo.

Amleto canta la gloria della potenzialità maschile, di ciò che ogni uomo potrebbe essere per il semplice fatto di essere uomo. Come proclama solennemente Fortebraccio, il guerresco principe straniero, quando gli viene narrata la vicenda di Amleto:

 

“Quattro capitani portino Amleto come un

soldato sul palco: poiché egli probabilmente,

posto alla prova, avrebbe mostrato un’indole

regale: e per la sua dipartita, la musica dei

soldati e i riti guerreschi parlino alto per lui”.

 

Amleto non è dunque l’antieroe con cui il nostro cuore vorrebbe scambiarlo. Solo apparentemente egli si allontana dall’ordine simbolico maschile: a quell’ordine Amleto può anzi ricondurci con un’efficacia superiore rispetto a un qualsiasi mito guerresco. Amleto, l’escluso, permette agli esclusi di non disperarsi e riconcilia la virilità ferita con la comunità maschile: così come egli stesso si riconcilia con Laerte, fratello di Ofelia e suo provvisorio nemico, quando - dopo aver duellato - muoiono insieme virilmente riaffratellati in un estremo patto di sangue.

Allontanando da Amleto le nostre proiezioni, vedremo la viltà di Amleto: che non coincide con la pavidità che il personaggio si autorimprovera tormentosamente, non con la sua incapacità di uccidere prontamente lo zio, non con la sua introversa contemplazione.

La viltà di Amleto va cercata altrove, in terreni dove non fiorisce il dubbio dell’anima ma affonda le radici un’arroganza inconsapevole ed esaltata. Amleto è, per esempio, uomo che con disprezzo impietoso e sistematico sbeffeggia i suoi subordinati, i cortigiani che - costretti dall’uso - complimentano la sua maestà con fiorite parole.

Ma sono le donne - nella figura della madre e della ragazza amata - il campo dove Amleto soprattutto esercita la sua violenza morale.

In una scena centrale, Amleto viene convocato dalla madre ed egli si presenta a lei per “giustiziarla” moralmente. Amleto l’obliquo, colui che evita qualsiasi franchezza con l’autorità maschile da cui dissente, sa però infierire a fondo contro la madre, fino a “spaccarle il cuore”.

Nella medesima scena, Amleto uccide per errore - credendolo lo zio - Polonio (il padre di Ofelia, che assisteva al colloquio nascosto dietro una tenda). In quest’occasione Amleto non è nemmeno sfiorato dal pensiero di Ofelia, che per l’incauto gesto del principe perde un padre amato e l’unico sostegno della sua vita.

Amleto innamorato di Ofelia: la magnificenza di questo amore è cosa che viene premessa, esaltata, ma non mostrata. Se la crudeltà di Amleto contro la madre si fonda soggettivamente su un’antica alleanza che la madre ha tradito, Ofelia è oggetto di una violenza verbale sfrenata che ci appare totalmente gratuita.

Ofelia è la vittima di Amleto, il campo su cui egli vomita intera la sua aggressività e il triviale immaginario sessuale che fa da contrappunto al suo sottile filosofare. La pazzia stessa, che dopo l’uccisione di Polonio trascina Ofelia alla morte, è come preparata da Amleto, dalla sua opera di devastazione psichica, da una ferocia che si presenta come sfogo di innamorato respinto ma sembra in realtà muovere da più profonde, inesplorate corde.

Gastone Redetti

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