Gastone Redetti
La questione maschile
Se i maschi non rinunciano all’universalismo
Miopia n.22, dicembre 1994
Si intitola “Meteore?” l’articolo di Lia Cigarini che apre il n.17/18 di Via Dogana. È una meteora, un effimera traccia di luce, l’attuale momento di coscienza femminile?
«Mi chiedo - scrive Cigarini - se il tentativo di Via Dogana, di lottare contro il risultato ultimo dell’emancipazione femminile - la spartizione del mondo dato fra uomini e donne - abbia avuto qualche esito».
L’interrogazione di Cigarini non verte quindi genericamente sull’efficacia del pensiero della differenza, ma sullo specifico tentativo di Via Dogana di fondare una nuova politica, di portare nel mondo di tutti ciò che già esiste efficacemente come pratica delle donne.
Cigarini parla di paura e angoscia
«che si prova talora leggendo la storia passata delle donne, dove il segno della differenza femminile nell’ordine simbolico ogni tanto è apparso, per poi scomparire all’improvviso».
Angoscia, di riflesso, per il presente. Ma l’ansia si placa perché
«questa consapevolezza teorica che io ho, - scrive ancora Cigarini - le beghine del Duecento o le preziose del Seicento, meteore di libertà femminile, non l’avevano».
E il nucleo di tale consapevolezza sta nella
«differenza femminile» come «mediatrice della differenza sessuale, quindi della differenza maschile. In altre parole, meno appropriate ma più chiare, la differenza femminile è una mediazione universale» (1).
L’«efficacia mediatrice della differenza femminile» è il dato di approdo certo, positivo al di là anche di insufficienze e fraintendimenti presenti nell’àmbito del femminismo della differenza.
Ci sono aspetti dell’articolo di Cigarini che mi coinvolgono direttamente come uomo:
«quando ne parliamo - scrive Cigarini - viene fuori che la pratica della relazione è convincente come pratica tra donne, e basta: non lo è per affrontare problemi sociali, economici, politici».
Come dire che quello che è stato acquisito nelle relazioni tra donne viene vanificato se si tenta di applicarlo al mondo comune delle donne e degli uomini. Oppure che la dimensione della “politica” può essere vissuta schizofrenicamente dalle donne: a contatto con la politica degli uomini o neutra, “la politica delle donne” nel senso che le ha dato Luisa Muraro rischia l’insignificanza.
Ma se la politica delle donne, basata sulla relazione, entra in crisi quando si affaccia sulla politica corrente, non è solo per una debolezza del movimento delle donne. Sono gli uomini a costituire un problema:
«gli uomini - scrive Cigarini - non mostrano di aver preso coscienza della differenza maschile, che, rivestita di una pretesa universalità, continua a condizionare la più parte delle cose umane. I migliori arrivano a riconoscere l’importanza della differenza femminile, senza considerarla valida per sé. Recentemente, però, un poeta serbo-croato ha detto che la tragedia iugoslava, con le sue esibizioni di virilismo spietato, deriva anche dalla mancanza di femminismo nella cultura del suo paese. Evidentemente [...] intendeva dire [...] che il pensiero femminile non è mediatore nei conflitti tra uomini...».
Con questo esempio Cigarini va dritta a uno dei nuclei della questione: la guerra come la più irrimediabile tra le azioni di segno maschile, la guerra che devasta e travolge il mondo degli uomini e delle donne imponendo le forme estreme del potere patriarcale.
Tuttavia questo riconoscere tracce di coscienza maschile andandole a cercare in un “lontano” scrittore bosniaco mi era sembrata un po’ un’elusione. Mi “aspettavo” che qualcosa fosse detto sull’esito del coinvolgimento maschile che Via Dogana ha tentato negli ultimi tempi. La parola di una donna mi ha però fatto riflettere sull’assurdità di tale aspettativa, quasi Via Dogana fosse tenuta a un rendiconto.
Cerco di spiegarmi meglio: personalmente ho molto apprezzato il tentativo coraggioso delle donne della Libreria, di individuare e nominare i limiti del separatismo e di aprire al mondo maschile. Ma dire questo sarebbe poco. In realtà ho beneficiato concretamente di questa apertura: non solo con l’acquisizione di nuovi pensieri, ma anche con l’accesso a luoghi in cui la parola femminile risuonava viva e alta. Se non sono in grado di sapere in quanti altri uomini abbia avuto risonanza, negli ultimi anni, il pensiero della differenza, è anche a causa di un’avarizia di riconoscimento, di una maschile assenza di generosità, di cui anche io sono responsabile.
Ripensando agli interventi di alcuni interlocutori marxisti su Via Dogana, mi ero detto: forse sta proprio nella controparte maschile; le donne che aprivano il discorso avevano alle spalle la pratica della relazione e il partire da sé, che non sono vuote formulette ma implicano un atteggiamento esistenziale e tutto un lavorio interpersonale - spesso faticoso e sofferto - di cui non conosco l’analogo tra gli uomini. Un uomo, anche se “vuole” entrare in rapporto, è difficile che parta da sé (2). Parte, diciamo per semplificare, da Marx: Marx giovane ha scritto delle brevi stupende enunciazioni sul rapporto uomo donna. Un intellettuale “aperto” può essere tentato di recuperare questo Marx e di usarlo come mediazione con il femminismo. Però Carla Lonzi ci avverte che il suo “sputare” su Hegel stava per “sputare su Marx”. Questo non significa certo che Lonzi fosse reazionaria e nemmeno antimarxista. Vuol dire che per lei c’era qualcosa che viene molto prima di Marx: ed è l’esperienza femminile di un totale sradicamento nell’ordine patriarcale. E non è detto che l’ordine patriarcale stia per forza bene agli uomini. A me non sta bene. Mi sono creduto “marxista” finché non ho scoperto che per me la relazione con la donna era centrale, e la mia ideologia un’impalcatura che non reggeva il peso dell’esperienza.
Tutto questo sta bene. Ma quello di cui non mi rendevo bene conto, è che la reticenza che mi sembrava di cogliere negli interlocutori di Via Dogana, era dello stesso segno della mia reticenza.
Ho spesso il senso che la questione degli uomini nel femminismo sia ancora in un’impasse, se non al punto di partenza.
Un senso di impasse lo vivo spesso anche personalmente. Dico ogni tanto che sono un maschio femminista separatista. Lo dico scherzando, ma il concetto è serio. Sono grato delle occasioni pubbliche che mi permettono di entrare in contatto con il movimento delle donne, e non mi risento quando sono escluso da incontri separati. Vedo bene che nelle situazioni miste in cui non c’è freno simbolico ma una presunzione di parità, il mio sesso non esita a prendere la parola e a occupare tutto lo spazio occupabile e insomma a ricreare le situazioni da cui le donne si sono difese con il separatismo. Il solo luogo politico comune per ora praticabile è lì dove un freno simbolico c’è, e i maschi presenti stanno zitti, anche se non è loro espressamente vietato parlare.
Praticando il separatismo, il femminismo ha finito più o meno col liquidare l’aspetto della rivendicazione verso/contro l’uomo, e per delle ottime ragioni: per esempio, che anche nella rivendicazione c’è un eccesso femminile di cura, un lavoro che una volta di più la donna si sobbarca anche per conto dell’altro sesso.
Ma il rivendicazionismo è caduto anche perché ben raramente è servito a qualcosa: gli uomini, nonostante ora possano dire di averne nostalgia, in realtà non sopportavano rivendicazioni ed esigenze femminili. La dialettica, l’intrecciarsi di momenti rivendicativi e separatisti è presente con un alto grado di consapevolezza negli scritti di Carla Lonzi, specialmente in Taci anzi Parla. In Carla Lonzi, che pure è stata amata da un uomo in misura non comune, c’è la continua denuncia di questo dato di fatto: è vano porre delle esigenze, finché c’è «l’altro tipo di donna, ch’è sempre lì accanto, che entusiasticamente fa quello che l’altra ha deciso di rifiutare» (3) e finché l’uomo, dopo un breve fuoco di interesse per la donna esigente, soggettiva, è tentato - quasi fatalmente - di accettare più comode offerte. Nonostante questa spada dell’abbandono sempre sospesa, Lonzi continuò a lungo a chiedere, a esigere, soprattutto a portare il ragionamento e il dialogo sul bisogno femminile.
Ma allora si può far leva solo sugli uomini che abbiano già accettato delle esigenze femminili? Sarebbe già qualcosa, perché, anche se raramente, il riconoscimento maschile di esigenze femminili esiste, anche se per ora avviene quasi esclusivamente a livello privato, amoroso. È da qui che devono partire gli uomini: dalle istanze maschili dell’amor cortese, dalla consapevolezza dell’innamoramento e dall’istinto di dedizione e sommissione? Perché, sinora, è solo nel privato e nel rapporto amoroso che - a volte - avviene una rivoluzione simbolica tra i due sessi. È solo nel rapporto amoroso che una donna ti grida “non sono tua madre!”: e quando ciò accade significa che, giusto o ingiusto che fosse, questa donna ti ha fatto da madre. E quando c’è il riconoscimento di una cura materna ricevuta per la prima o per la seconda nascita, allora si pone il problema della restituzione: non per una questione etica astratta, ma perché può esserci uno scatto di coscienza che lo rende inevitabile.
Questa restituzione ovviamente è un problema degli uomini, non delle donne: o meglio, a un certo punto accade che l’uomo sia in grado di farsi carico di problemi che la donna ha portato a lungo sulle spalle anche per lui.
È un compito degli uomini muoversi, uscire dalla staticità, andare incontro al soggetto femminile.
Mi collego a quanto scrive Elena nell’articolo Invidiare le lesbiche?, in questo stesso numero di Miopia: l’amore degli uomini per le donne non è moneta corrente, ma esiste. Anche io trovo essenziale che esca allo scoperto, che venga detto.
g.r.
1) Nelle correnti più vitali del pensiero femminista americano è rivendicata una universalità - intesa in un senso nuovo e concreto - del femminismo, che mi sembra vicina al concetto di mediazione femminile di cui scrive Cigarini. È implicita, mi sembra, nell’opera di Adrienne Rich, e detta esplicitamente in Mary Daly.
2) In Armande sono io!, pag.45.
3) Un uomo, di formazione marxista, che ha tentato di “partire da sé” tenendo presente sia il rapporto con la donna sia l’incidenza del femminismo nella sua vita è Victor Seidler: il quale ci sarebbe rimasto del tutto sconosciuto se il suo libro Alla riscoperta della mascolinità non fosse stato tradotto nella Collana della differenza degli Editori Riuniti, diretta da Luisa Muraro.