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Lilla Consoni

Fiabomania

Donne e dee nelle fiabe

Da Miopia n.24, giugno 1995

 

Marie-Louise von Franz
Marie-Louise von Franz
(Link da: upload.wikimedia.org )

I miei scaffali traboccano di libri di e sulle fiabe. Questa “fiabomania” iniziò circa dieci anni fa a Bologna, quando una rivista mi diede l’incarico di scrivere un articolo sul “revival” della fiaba (così si espresse il direttore); il lungo pezzo, per la cronaca, fu pubblicato solo nel 1993, e da un altro giornale! Quel faticosissimo saggio mi procurò notti insonni (allora scrivevo di notte), ma fu la porta che mi introdusse nel mondo, non sempre incantato, delle fiabe. La mia amica Donatella mi fece conoscere i libri di Marie-Louise von Franz, una tedesca ora ottantenne, che fu allieva di Jung.

La sua opera più famosa, “Il femminile nella fiaba”, uscito in Italia nel 1983 da Boringhieri, è una delle “cose” più avvincenti che abbia mai lette, ammaliante come un insolito racconto e al contempo lucida e acuta: quello che una volta si chiamava “un piacere per l’intelletto”. Leggere per credere.

L’interpretazione che von Franz dà delle fiabe non ci aiuta, però, a trovare tracce di “matriarcato e potere delle donne” (Ida Magli mi scuserà se prendo in prestito il titolo di un volume da lei curato nel lontano ’78).

Infatti, il “femminile” in senso junghiano è collegato al concetto di anima, che è la parte femminile dell’uomo, così come l’animus è la parte maschile della donna; mi si perdoni l’estrema grossolanità della formulazione.

Così, dobbiamo inforcare altri occhiali per riuscire a vedere quello che molte fiabe nascondono tra le righe, per riuscire a “leggere” un’altra realtà, un altro tempo, un’altra Storia; la nostra Storia/storia delle donne, con i suoi valori, i suoi miti e i suoi riti.

Cos’è, ad esempio, questa storia delle dodici fate madrine alla festa della Bella-non ancora-Addormentata, con la tredicesima fata trascurata? E quell’altra storia dei dodici piatti d’oro al posto dei tredici piatti d’argento? Non si tratterà per caso del calendario solare (patriarcale) che sostituisce quello lunare (matriarcale)?

Non mi dite che sono tutte storie!

I Paesi di lingua tedesca sono una vera miniera per chi, come me, si ostina a voler scoprire... tracce di una donna nella fiaba.

Una “maestra” in questo senso (lei rifiuterebbe però l’etichetta che le sto appioppando) è Luisa Francia, tedesca nonostante il nome italiano, regista, viaggiatrice, “strega” e scrittrice.

Una folgorazione mi è venuta dallo studioso di cultura irlandese Frederik Hetmann, il quale, nella prefazione al libro “fiabe celtiche”, sostiene che un ruolo importante in molte di queste fiabe è giocato dalla cosiddetta Dea Bianca. Questa è una delle tante rappresentazioni di un’antica Dea Madre, triforme, legata al ciclo delle stagioni (e a quello lunare, e a quello mestruale, aggiungono le bene informate).

Su questa dea esiste un libro, The White Goddess, di Robert Graves, uscito in Inghilterra nel 1948.

Riepilogando: da un lato abbiamo un “femminile nella fiaba” di stampo junghiano, che è in realtà un “maschile nella fiaba” (!), dall’altro una serie di studi, stimoli, ricerche, che tentano di trovare la donna e la Dea nelle fiabe.

Diventa interessante, a questo punto, la rivisitazione degli archetipi junghiani in chiave femminista operata da Gerda Weiler (tedesca, tanto per cambiare) nel suo Il mito espropriato, del 1991.

Potrebbe essere una “cerniera” tra i due approcci interpretativi.

A proposito di Jung, mi viene in mente Clarissa Pinkola Estés, analista junghiana, poetessa e cantadora, cioè cantastorie e custode di racconti. Il suo bellissimo Donne che corrono coi lupi (Frassinelli, 1993) compie un viaggio attraverso storie di varie culture e tradizioni, per dar voce alle donne e per donar loro una “medicina” potente. La Estés, americana dalle origini messicano-ungheresi, dice nell’introduzione: «Provengo da una lunga stirpe di cantastorie: mesemondòk, vecchie ungheresi che raccontano mentre siedono su sedie di legno con i libri tascabili in grembo, le ginocchia larghe, le gonne che sfiorano il pavimento; e cuentistas, vecchie di origine latino-americana che restano in piedi, dai seni generosi, i fianchi larghi, e declamano la storia in stile ranchera. I due clan raccontano storie con la voce chiara di donne che hanno vissuto sangue e figli, pane e ossa». Clarissa ci mostra, fra l’altro, come scriveva Bia Sarasini sul Manifesto del 13 gennaio ’94, che “è fondamentale la voce, il sesso di chi racconta”.

Un argomento a parte costituiscono le “fiabe femministe”, che ritessono motivi classici o cercano di riportare la fiaba “al pristino stato”. Questo è un lavoro ri-creativo! Alcune donne hanno deciso di ri-creare le fiabe, riscriverle come erano all’inizio, prima di essere inquinate da manomissioni e moralismi di vario genere, oppure come avrebbero potuto essere, se fossero state scritte in (e da) una società non patriarcale.

Il risultato è a volte molto divertente.

Il ritessere motivi classici (classici delle fiabe, s’intende) va dalla parodia alla variazione sul tema. Bravissima in questo campo è la svizzera Ursula Eggli, autodefinitasi “la fata con quattro ruote sul sedere”, per via della sua sedia a rotelle. Eggli racconta anche fiabe “nuove”, spesso autobiografiche. Scavando, raccontando, creando e ricreando (o, semplicemente, leggendo e rileggendo), succederà che... Non lo so che cosa succederà. So solo che adesso non ho più paura della Matrigna di Biancaneve.

Fiabescamente vostra

Lilla Consoni

 

I libri di Marie-Louise von Franz sulla fiaba sono usciti in Italia presso Bollati-Boringhieri (L’individuazione nella fiaba; Le fiabe interpretate) e presso RED (Le fiabe del lieto fine, ecc.)

[Il libro di Robert Graves citato nell’articolo è reperibile in italiano: La Dea Bianca, Adelphi, 1992 - cfr. Miopia n.19]

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