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Elena Fogarolo

Sorelle di luce

Attualità delle eroine greche

Da Miopia n.10, ottobre 1991

 

La mitologia greca ha subito poche eclissi, e la cultura occidentale in genere le ha dimostrato molto amore. Ma la passione delle artiste odierne, che spesso lavorano sulla stessa figura una all’insaputa dell’altra, merita una parola, un tentativo di spiegazione. Insomma: perché le mitiche donne del passato esercitano una tale attrazione su donne che duemila anni dopo cercano di trovare una nuova identità? Proviamo ad approfondire la questione in relazione ad alcune di queste figure, che sceglieremo — eccetto una — tra le eroine e non tra le dee:

 

MEDEA e ARIANNA, peccatrici verso la famiglia e omicide.

ARACNE e NIOBE, peccatrici contro la modestia, vittime dell’hybris.

ELENA, estrema peccatrice contro gli affetti.

ATALANTA, che si perde nell’eccesso dell’eros.

ANTIGONE e PERSEFONE, due donne “pazienti”, che soffrono senza agire.

 

Cominciamo da Medea, che abbiamo messo al primo posto proprio perché è l’eroina più completa: Medea tradisce la famiglia originaria quando si innamora di Giasone. Per sfuggire ai familiari che inseguono la sua nave, fa squartare il proprio fratellino e ne getta i pezzi in mare, uno dopo l’altro: gli inseguitori perdono tempo nel compito inevitabile di raccogliere la salma. Giunta al treno come sposa di Giasone, ha con lui tre figli che fa morire nel tentativo fallito di renderli immortali. Nel momento in cui il marito sta sposando un’altra donna, con un maleficio uccide la rivale, per cadere poi vittima di Estro, la Pazzia. Dopo un lungo periodo di smarrimento totale Medea rinsavisce ed inizia la sua elevazione: diventa una sacerdotessa, una maga, e nell’Eternità andrà sposa a quello che per i greci era il più puro degli eroi: Achille.

 

Simile a Medea è Arianna: anch’essa tradisce la patria e la famiglia vittima di Eros, innamorata di Teseo. Ma per Arianna non c’è solo l’amore: ella abbraccia anche la causa di giustizia di Teseo e uccide il Minotauro (fratello di lei). Fugge con Teseo per diventare regina al suo fianco ma, abbandonata per ordine di un dio su di un’isola sperduta, realizza se stessa nella solitudine religiosa.

Entrambe queste donne agiscono dapprima sotto il segno dell’alienazione: credono che il proprio destino sia identico a quello di un altro, e confidano inoltre — in modo estremo — nella propria volontà. Entrambe, dopo una serie di errori, scopriranno il loro vero posto nel mondo e ciò che davvero volevano fare.

 

Aracne e Niobe si esaltano entrambe davanti a quello che fanno: tanto amano il proprio destino, tanto si sentono coincidere con ciò che sono. La loro fortuna e il senso interiore di compiuta grandezza che ne deriva, sono tali da indurle a paragonare se stesse agli dei. Questo peccato era molto temuto dai greci: l’essere umano non doveva mai perdere il senso dei propri limiti, della propria condizione umana. In questo delirio di superbia Niobe e Aracne si perdono e vengono punite: trasformate in qualcosa d’altro.

 

Elena pare non agire: sembra andare dove la portano, sembra non avere volontà. Ma nella sua mancata adesione al modello femminile imperante e nella sua indifferenza per i legami familiari troviamo qualcosa che ancora oggi sconcerta. Elena non pecca... non fa nulla, nemmeno nulla di male: è se stessa,e il suo destino finale sarà l’immortalità.

 

Atalanta e una delle figure più dolorose: su di lei pesa un’oscura predizione che dice che, se si sposerà, diventerà una bestia. Saggiamente quindi Atalanta decide di non sposarsi e si dedica al culto della dea Artemide. Ma interviene Afrodite che con un trucco la fa innamorare: Atalanta, che si teneva lontana da Eros proprio perché sapeva che l’avrebbe distrutta, si perde talmente nel culto di Afrodite e dei frutti di lei che si dimentica di ogni altro dio, la grande dea Cibele compresa. Per punizione viene trasformata in una leonessa.

Le storie che abbiamo condensato qui sopra contengono assassinii, tradimenti, fughe, adulteri ecc.: non c’è traccia in queste donne della inibizione all’azione che, con nomi diversi, viene universalmente riscontrata nelle donne moderne. Quelle mitiche donne non sono certo anoressiche, non sono delle bigotte scrupolose; non delle inibite né, per usare un termine del femminismo italiano, delle “automoderate”. Evidentemente seguivano una morale diversa, avevano alle spalle delle madri diverse.

Se queste eroine sono ancora luminose, seppure di una luce tramontante, i loro soli sono invece definitivamente tramontati: già nei racconti dei greci “le madri” sono distanti, silenziose, non agenti. E queste eroine infatti non le vedo come possibili madri, ché non possono portare giustificazione. Ma come sorelle, come esempi, sì. In che senso?

Il mito di Medea, soprattutto nelle versioni più antiche, può rivelarsi per una donna uno specchio del suo io interiore più completo di quello che la psicologia le propone come moderno io femminile.

In particolare il problema dell’azione, e dell’inevitabile male o peccato connesso ad ogni agire, si presenta in questi miti con una forza dirompente. Medea agisce, sbaglia e sbaglia, ma si salva. Atalanta non vuole agire ma è costretta comunque ad una azione non voluta, e questa azione cui non aderisce con tutta se stessa la porta a dannazione.

 

Prima di concludere, vorrei fermarmi un momento su due figure greche più in armonia con la morale femminile corrente: Antigone e Persefone.

Antigone mi sembra quasi un’antesignana di Madre Teresa di Calcutta. Come Persefone, si occupa della sacralità della morte. Entrambe vengono unilateralmente esaltate dalla cultura maschile e ossessivamente indicate come modello alle donne (nelle quali può insorgere il rifiuto: della strumentalizzazione maschile, più che dei significati intrinsechi di quelle due figure).

Persefone è una dea, e quindi è anomala in questo congresso di eroine: ma il suo destino, la sua caduta, la violenza subita, la rendono molto simile ad una divinità incarnata, probabile modello o analogia del Cristo che verrà. Persefone non ci è modello di azione, ma memento doloroso di ciò che si diventa senza la potenza della madre: nella separazione di madre e figlia è nato l’inverno, la morte; nella ricongiunzione tra le due torna la primavera, rinasce la vita.

Elena Fogarolo

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