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Elena Fogarolo

Circe la decaduta

Quando un comportamento femminile è speculare al maschile

Da Miopia n.19, dicembre 1993

 

 

Secondo una versione del mito, Circe è figlia o personificazione di Ecate. Secondo la versione più comune, è figlia del Sole e sorella di Pasifae nonché zia di Arianna e Medea. In ogni caso siamo davanti ad una delle tante dee nobili e grandi che troviamo – decadute – nella successiva religione olimpica.

Che ci fa, infatti, una dea nobile e potente in un’isoletta sperduta, dove – secondo Omero – la trova Odisseo?

E non è mica che la sua isola sia da paragonare mettiamo all’isola d’Elba, dove fu confinato Napoleone, al quale dopo tutto fu concessa un’apparenza di fasto. L’isola di Circe corrisponde eventualmente, se vogliamo tenerci al paragone con Napoleone, all’isola di sant’Elena: un luogo in cui ci si aspetta solo che lei muoia.

Circe poi è del tutto sola, come nemmeno Napoleone fu mai. Non ha passatempi, occupazioni, relazioni adatte al suo rango.

O meglio di occupazioni ne ha una, e solo quella: farsi tutti i maschi che le capitano a tiro. Prima li trasforma in animali e poi giace con loro.

Ma Odisseo grazie a un contro-incantesimo le resiste e rimane uomo. Allora Circe lo ama.

Non è difficile vedere in Circe un comportamento che i maschi considerano normale se riferito a se stessi (ma che nel profondo evidentemente condannano), e che consiste nel darsi licenza di giacere con qualsiasi donna, dopo averla trasformata nella propria testa in qualcosa d’altro, puttana, cosa, lupa ecc. Ma la fanciulla che resiste ai loro intenti di degradarla, la fanciulla che dice no, quella la amano e la sposano.

Circe non sarà nemmeno sposata da Odisseo: Penelope lo aspetta. Penelope vince la dea grazie a un’integrità maggiore. Perché Circe con Odisseo è stata leale ma, prima, quante ne aveva combinate!

Il nome di Circe è usato ancor oggi come sinonimo di strega, peccatrice, assassina, licenziosa folle e malata.

Anche lo scrittore Cesare Pavese subì il fascino della dea e nei suoi Dialoghi con Leucò immaginò la nostalgia di Circe per una vita normale di moglie: Odisseo per una notte la chiama Penelope! Ma che lussi, ragazze! Una svergognata che se la fa con le bestie, chiamarla con il nome della moglie, la fanciulla vergine che giacque per la prima volta con l’eroe e, dopo, gli rimase sempre fedele!

Di altre grandi dee si trovano spesso tracce che permettono di ricucire – magari a grandi linee – il ruolo che esse ricoprivano nella religione greca preolimpica. Con Circe quest’operazione di ricostruzione risulta invece molto ardua. Rimane là, questa grandissima disoccupata, ad indicare una profonda dissociazione del nostro cuore.

A meno che non ci basti che qualcuno ci chiami Penelope.

E.F.

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