Elena Fogarolo
L’asilo delle sacerdotesse
Da Miopia n.27, giugno 1996
Quello qui sopra, non è un titolo raffinato, metaforico, per dire qualche oscura, settoriale se non morta verità: voglio proprio - al contrario - affermare che le sacerdotesse, oggi, agiscono in pienezza nelle scuole materne, ancora chiamate nel linguaggio comune “asili”.
Le scuole materne, in un quartiere cittadino o in un paese, le si identifica molto facilmente: gli edifici che le ospitano, vecchi o nuovi che siano, presentano certe caratteristiche inconfondibili, come i vetri delle finestre e delle porte-finestra tutti decorati a tempera, o con cartoncini incollati sopra: decorazioni sostituite spesso e fatte di materiale di poco prezzo. Sono, le scuole materne, straordinariamente e innegabilmente gioiose.
Già quando erano ancora gestiti in prevalenza da suore, gli asili erano luoghi piuttosto allegri: prima ancora, quindi, del reclutamento massiccio di giovani insegnanti non consacrate.
Un certo recupero di elementi della tradizione pagana (culto delle stagioni, degli eventi cosmici, della luna, del sole, delle stelle; amore per gli animali e per gli alberi) ha reso gli asili luoghi “altri”, unici, dove i bambini sono nutriti psichicamente di un cibo indispensabile.
E’ un dato ampiamente riconosciuto che un bambino o una bambina che abbia frequentato la scuola materna è solitamente più equilibrato di chi alla materna non c’è stato. A volte si banalizza la cosa dicendo che chi ha frequentato una scuola è già stato con altri bambini, che ha già imparato qualcosa ecc. Ma quel che avviene alla scuola materna, è a mio avviso molto più che un fatto (per quanto importante) di socializzazione e di insegnamento di qualche nozione “utile”.
Alla scuola materna si celebra la vita. Le Muse - ricordate? - sono chiamate le celebranti!
Le maestre della scuola materna passano il loro tempo - da autentiche sacerdotesse - a celebrare la vita: ecco l’autunno, e i disegni con le foglie che cadono, e poi l’inverno, e allora ecco i paesaggi innevati, e la primavera con i peschi rosa e l’estate nello splendore del grano e dei papaveri... Questi gli eventi previsti, su cui modellarsi. Poi, ogni piccolo accadimento, relativo a un bambino o all’intera classe, entra in questo schema di celebrazione, di rito: il compleanno, la nascita di un fratellino o di una sorellina, il bisogno di travestimento, di una casetta dove imitare gli adulti, di luoghi su cui issarsi, in cui calarsi, dove sfidare, dove sentirsi protetti...
Le scuole materne in un certo senso sono luoghi molto poveri, dove il materiale usato è - come già osservato - di poco prezzo, e non è raro che sia riciclato (molte amministrazioni comunali mandano alle scuole materne i fogli di carta usati solo su una facciata): i tradizionali “regalini” che ancora adesso i bambini preparano per i genitori a Natale, a Pasqua ecc. sono della stessa semplicità di decenni fa.
Eppure sono, gli asili, anche luoghi straordinariamente ricchi: sono tutti provvisti di giardini, alberi, grandi saloni con grandi vetrate. Solo lì i bambini hanno anche i sanitari a loro misura. Gli edifici delle scuole materne vengono costruiti, molto spesso, con criteri generosi se non addirittura fantastici: l’inconscio della comunità, anche nella sua componente di rappresentanti (maschi) eletti a legiferare, sa che la scuola materna è luogo a sè, sacro, non sottomesso alle leggi comuni; i bambini devono gioire.
Nello stesso tempo si fa fatica a capire che stare con i bambini è lavoro. Le maestre d’asilo hanno un orario di lavoro molto duro, e sono pagate meno di altri insegnanti: “cosa insegnano”, infatti?
Aggiungendo che fino a pochi anni fa il loro lavoro era affidato alle suore, le quali erano pagate molto meno, si precisa ancor meglio il loro status economico.
Giocare con i bambini: cosa c’è di più facile in apparenza? La scuola materna viene anche banalizzata, ridotta a un sorta di collettivo babysitting, più economico per le famiglie e più piacevole per i bambini. Ma le maestre sanno benissimo che il loro ruolo è ben più complesso. Istintivamente hanno recuperato i ruoli delle nonne: raccontare vivere trasmettere i benefici delle favole mescolandole alla religione tradizionale senza provocare ferite né drammi e operando una sorta di sincretismo religioso. La religione cristiana non sarebbe sufficiente, da sola, per vivere; e infatti è sempre stata integrata dalle famiglie con elementi ad essa estranei.
Le maestre d’asilo hanno luoghi, tempo, energie, saperi, per rendere efficace questa integrazione, per congiungere universi in apparenza antitetici, e contribuiscono a far vivere i bambini.
Dove è possibile, i bambini vengono portati in visita nei diversi luoghi della comunità (anche in quelli “estremi”): in cimitero, negli ospizi, in chiesa, in Comune, nelle scuole dei più grandi ecc. Piccole regine e re, essi si spostano nel loro territorio, che ha cura di farsi più morbido, di presentarsi gradevole ai futuri abitanti.
Le scuole materne sono ecosistemi ancora protetti dalle ninfe: si va in bagno per sentir l’acqua scorrere tra le mani; zitti zitti e in fila (attenzione! se non fate i bravi si torna indietro) si va a vedere nelle cucine - a debita distanza - i misteri e la potenza del fuoco... ci si butta per terra sopra un foglio e un compagno ti gira intorno con una matita e guarda un po’... quel disegno lì sei tu! E vieni attaccato al muro, col tuo nome, è importante che tutti vedano che ci sei, che esisti e hai quella forma lì... ci sono specchi per vedere che colore hanno i propri occhi, e per fare le linguacce; ci sono teatrini dove le maestre si nascondono ridendo e fanno le vocine e le vocione; si taglia, si modella, “si sporca”.
Il computer, nella maggior parte degli asili non c’è. Certo che bisogna fare qualche concessione al potere dominante: un po’ alla volta, qualche computer viene comprato, insieme con qualche programma didattico, così i direttori sono contenti e le maestre sono lasciate in pace, con i fiori di campo, le conchiglie, la carta riciclata del Comune e montagne di pennarelli, a continuare a disegnare nelle nubi il loro divino mondo di gioia.
Elena Fogarolo