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Elena Fogarolo

Erika

Il fallimento dell’economia domestica e il crollo delle finte infanzie

Da Miopia n.38, Settembre 2001.

 

Il delitto di Novi Ligure fu un caso di cronaca nera particolarmente noto, avvenuto il 21 febbraio 2001 a Novi Ligure nel quartiere del Lodolino.

Intorno alle ore 19:50 di quel giorno, Erika De Nardo, che all’epoca aveva soltanto 16 anni, con il concorso dell’allora fidanzatino Mauro “Omar” Favaro di 17 anni, uccise premeditatamente a colpi di coltello da cucina la madre Susanna “Susy” Cassini, contabile di 41 anni e, forse perché diventato un testimone scomodo, il fratello undicenne Gianluca De Nardo. Secondo l’accusa, i due giovani avrebbero progettato di uccidere anche il padre della ragazza, Francesco De Nardo, ingegnere e dirigente della Pernigotti, di allora 44 anni, ma avrebbero poi desistito perché Omar, che si era anche ferito ad una mano nel corso del duplice delitto, era ormai stanco e aveva deciso di andarsene, dicendo ad Erika “Se vuoi, uccidilo tu”.

Da Wikipedia

Il dramma di Novi Ligure, che la scorsa primavera è stato a lungo alla ribalta della cronaca, presenta un denominatore comune con altri delitti giovanili: i soldi. Il problema è sempre lo stesso: ci sono dei giovani che si vivono come poveri accanto a persone che hanno i soldi per comprarsi - apparentemente - quello che vogliono. Questo viversi poveri non è un’esperienza momentanea, episodica, ma è costante e profondamente frustrante. L’altro, l’adulto con i soldi, è indifferente al giovane che soldi non ha e che non vede, nel breve e medio futuro, come averne.

Per Erika si è parlato del conflitto con la madre. Ma dov’era la radice del conflitto? Giorno dopo giorno, Erika viveva con una donna che poteva comprare quello che voleva, che aveva accesso a beni socialmente gratificanti, telefonino, macchina, palestra. Erika al contrario per avere accesso a questi beni doveva chiedere alla madre. Che, dal canto suo, dava o toglieva, secondo il comportamento della figlia.

Abbiamo saputo che Erika per un certo tempo è stata privata del telefonino. Bisogna calarsi nei panni degli adolescenti per capire l’affronto, l’umiliazione, insomma la gravità della punizione.

I genitori che fino a pochi anni fa punivano un figlio, non risultavano - agli occhi del figlio punito - invidiabili: padre e madre lavoravano duramente, e i beni che toglievano ai figli per punizione (un pallone, un cinema) erano beni di cui i genitori stessi non godevano.

La vita degli adulti, per i bambini e i ragazzi di un tempo, non era attraente. I bambini non erano in lotta con gli adulti, come oggi, per gli stessi oggetti di piacere: oggi i ragazzi sentono i genitori parlare di transazioni per decine di milioni; l’auto nuova, la seconda casa, la crociera.

Psicologi, neuropsichiatri, tuttologi si sono spolmonati anche in questa occasione a dire che i genitori devono capire i figli. Ma quando mai questa comprensione c’è stata? I figli, se andiamo indietro di qualche decennio, crescevano del tutto estranei ai genitori. Non c’era confidenza. Se risaliamo di un’altra generazione, confidenza ne troveremo ancor meno. In Italia, all’inizio del ‘900, i figli davano del voi ai genitori.

Il problema non è “capire i figli”. Il problema è che non può sussistere una comunità sana se tra le persone che vivono a fianco a fianco, giorno dopo giorno, c’è una eccessiva disparità economica.

L’accusa che spesso si rivolge ai giovani è che “hanno troppo”, mentre “una volta”...

È vero, una volta c’era poco e adesso sembra che i ragazzi abbiano molto. Ma questo molto cos’è? Fuori di casa tutto si deve pagare. I figli diventano dei mendicanti cronici, insistenti o piagnucoloni secondo il carattere o l’umore del momento.

È sembrato di capire che i genitori di Erika fossero molto severi: cioè, in ultima analisi, avari verso i figli. Sicuramente molti acquisti saranno stati fatti dai genitori, in buona fede, per il bene di tutti. Ma era la madre a scegliere e decidere. Erika al suo confronto era una miserabile.

Altri assassinii di madri e padri sono apparsi legati a questioni di soldi: il giovane Maso voleva i soldi dei genitori per vivere lui, da ricco. Doretta, la ragazza che venticinque anni fa uccise genitori nonni e fratelli, voleva godere della villetta familiare. In questo caso, oltre ad una avidità culturale, si ravvisa anche un istinto arcaico: i giovani animali scacciano i vecchi per riprodursi nei posti più comodi.

Molti ragazzi di famiglie modeste non vedono l’ora, ancor oggi, di andare a lavorare per avere finalmente dei soldi. I genitori, a questo punto, per far sì che i figli continuino a studiare devono “pagarli” (per esempio con l’acquisto di una moto): ma i dissidi per i soldi sono molto frequenti.

Spesso gli adulti non riescono a percepirsi come i ricchi del nucleo familiare e impongono ai figli privazioni non necessarie. Ad esempio concedono col contagocce l’uso della seconda casa anche se è inutilizzata, anche se la/il giovane ha un compagno e non sa dove andare per avere rapporti sessuali sereni.

Escludendo i genitori che sono contrari a rapporti sessuali prima del matrimonio, non si capisce che cosa agisca negli altri.

C’è una cultura familiare, che continua a tramandarsi, per cui i genitori dànno ai figli che domandano. Ora, non tutti i figli sanno domandare o meglio: i genitori hanno rapporti migliori con alcuni figli invece che con altri, per cui i prediletti devono chiedere meno, a volte non chiedere affatto. Di nascosto dagli altri figli viene fatta qualche elargizione.

Nelle famiglie di oggi, come in quelle del passato, accade che abbiano vita facile i temperamenti adulatori, ipocriti, che vengono premiati per il loro rispetto formale e per l’ubbidienza, interpretati come “bontà”.

Erika passava un momento in cui tutte queste qualità le erano venute meno; la sua condizione di miserabile è diventata talmente aspra che l’ha fatta impazzire.

Non sarebbe da sottovalutare l’aspetto così giovanile della madre: sappiamo che quando fu uccisa era appena tornata dalla palestra. Questa donna che maneggiava soldi, che non andava a scuola né al lavoro, che non aveva orari fissi, ad una mente immatura sarà sembrata privilegiatissima, e per giunta alleata d’acciaio del padre, procacciatore del denaro che consegnava tutto alla madre.

È difficile pensare che Erika capisse, anche solo in parte, che la madre aveva un ruolo gravoso, quello di educarla bene. I fatti darebbero ragione a Erika; la madre non la educava affatto bene.

Spartire i beni nella comunità, in modo che non ci siano malumori, è indispensabile perché la comunità sia tale. Noi veniamo da una società cristiana arcaica che insegnava ai fedeli a disprezzare i beni del mondo, che del resto erano molto scarsi, per cui era anche un sollievo sentirli disprezzare. I soldi nell’Italia povera erano “del diavolo” e in genere se ne parlava poco. Ma essendo, appunto, tanto pochi, finivano quasi tutti in generi di prima necessità.

Se la comunità-famiglia ha tanti soldi, ha davanti due strade: o questi soldi vengono sottratti all’uso e investiti e tutta la famiglia vive parcamente, oppure non c’è scampo: anche i ragazzi devono vivere da giovin signori. Questa scelta certamente scandalizzerebbe qualcuno e susciterebbe altri problemi, altre invidie nelle relazioni con la società esterna, ma salverebbe la coesione familiare.

 

Davanti alla serie di tragedie che, dopo Erika, hanno visto come attori dei giovani adulti, e come vittime le madri o altri familiari, è stata spesso ripetuta una frase per bocca dei cosiddetti esperti: “Questa ragazza (o ragazzo) non doveva essere lasciata sola, si doveva aiutarla, si doveva trovare qualcuno che le desse risposte”... e via immaginando.

Ma chi doveva “essere presente”? Chi doveva parlare? Chi doveva capire?

La grande maggioranza dei genitori funziona bene, quando i bambini sono piccoli. Nei rari casi in cui la madre appaia inabile alle cure del neonato, si può cercare e spesso si trova qualche adulto (più donne che uomini) che istintivamente è in grado di appoggiare la madre.

Ma ecco che improvvisamente tutti i genitori sono messi sotto accusa in relazione alla cura dei figli nell’età che chiamiamo adolescenza. Da chi? E perché?

Figli non più cuccioli, giovani adulti più forti dei genitori, continuano il verso lamentevole dei cuccioli inermi che hanno bisogno di tutto. Ma chi può loro rispondere? Non esiste al mondo nessuno che possa avere per l’adulto, anche se giovane, il ruolo che hanno avuto i genitori quando l’individuo era piccolo. Dovrà sbrogliarsela da solo, come tutti gli esseri animali viventi. Gli/le insegnanti non sono madri.

Nella nostra cultura si chiede alla madre di non mutare, di restare sempre “madre”, di essere per il figlio adulto (e persino senescente) protettiva, affettuosa, terapeutica. Le madri anziane senza introiti propri traevano da questa situazione un riconoscimento che le teneva in vita (avevano cioè un corrispettivo che oggi non esiste più).

È significativo che siano stati soprattutto maschi a prendere la parola sui recenti matricidi. Maschi che inconsapevolmente chiamavano le donne, tutte, ad una maggiore dedizione, ad una migliore messa in atto del proprio ruolo.

Le madri uccise apparivano “colpevoli” per il fatto stesso che il figlio, invece di amarle, le uccideva: una madre che si fa uccidere diventa di fatto una cattiva madre.

 

Non possiamo prolungare l’infanzia dei nostri figli: sono adulti trattati da bambini, non bambini. Magari adulti istupiditi, piagnucolosi, repressi, ma non bambini. Sappiamo che questi adulti pretendono e ottengono di avere il trattamento che avevano da bambini fino a trent’anni e oltre. Un uomo commentava così la situazione della sua famiglia: “Ho un maschio e una femmina, hanno passato i trent’anni, sono ancora in casa, a me e a mia moglie la cosa sta anche bene... ma la discendenza?”.

Probabilmente questi giovani adulti, anche quando non sono più tanto giovani, riempiono la vita di adulti più maturi che temono il vuoto che si creerebbe se i figli formassero famiglie proprie. Temono, perduti i figli, di precipitare nello stato di vecchi.

In tal modo ci si mummifica in una eterna età di mezzo.

Ma i giochi di prestigio delle culture umane van bene per una giornata di sagra. Non ci si può mentire troppo a lungo.

La parola “adolescenza” andrebbe eliminata dal vocabolario. L’individuo sessualmente completo è un adulto, benché si parli degli adolescenti, cioè di giovani adulti che hanno rapporti sessuali, come di bambini che giocano con troppa insistenza al gioco del dottore.

Tornando ad Erika: perché sua madre poteva esercitare legittimamente la sua sessualità mentre lei, giovane donna, trovava mille impedimenti, divieti, rampogne, se voleva esercitare la sua? Biologicamente, Erika era probabilmente più atta alla procreazione di sua madre.

In tutte le specie animali i giovani adulti sessualmente maturi iniziano a guadagnare il proprio territorio, a cercarsi un partner, a preparare il nido, a procreare. Poiché la specie umana ha bisogno di pochi figli, avendo imparato a tener vivi e sani quelli che procrea, è evidente che molte attività umane sono e sempre più saranno simboliche. Ma sarebbe drammatico se questo simbolico ignorasse il corpo e le relazioni. Le figlie, i figli, non possono vegetare per anni, per decenni, in camerette da bambini con lo stereo e il telefonino... devono partorire figli simbolici, avere il proprio territorio.

Elena Fogarolo

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