Carla Galetto
Davanti alla tomba vuota
Da Miopia n.36, dicembre 2000, numero monotematico ETEROSESSUALITÀ TRA CRISI DEL PATRIARCATO E LIBERTÀ FEMMINILE
A un mese di distanza dal Convegno delle donne delle Comunità di Base, provo a ripercorrere alcuni pensieri che mi hanno accompagnata in quei due giorni e che mi accompagnano tuttora.
Il tema “Chiamata per nome. L’autorevolezza della follia: re-inventare il mondo” anticipava il contenuto della riflessione. Maria di Magdala è stata il personaggio biblico che più ci ha fatto compagnia durante la nostra ricerca.
Tutti e quattro gli evangeli, con diverse sfumature, si soffermano a descrivere il ruolo di questa donna in particolare (ma anche di altre) durante la passione, la morte, la sepoltura e l’annuncio della resurrezione di Gesù. Sappiamo che questi racconti non sono memoria storica, ma narrazioni a volte leggendarie, che hanno lo scopo di mantenere viva e di tramandare una profonda testimonianza di fede, che nasce sicuramente da un’esperienza forte.
Le donne, che erano solite andare ad imbalsamare il corpo dei defunti, vanno in questo caso a ungere il corpo di un “condannato a morte”. Questo è un atto coraggioso, accompagnato però anche da un senso di incapacità (“Chi ci rotolerà via il masso…?”) e di spavento di fronte alla tomba vuota e alla visione dell’angelo (o degli angeli).
“Quando esse tornano dal sepolcro - scrivono le donne del gruppo di Roma - vengono prese per pazze e non credute, sia perché all’epoca una donna non era considerata degna di essere messaggera di alcun annuncio, specie di uno così importante, sia perché la sua parola non aveva valore alcuno. Eppure l’annuncio della resurrezione Gesù lo consegna alle donne che sono andate al sepolcro”.
Maria di Magdala va al sepolcro perché lo desidera, essa è consapevole di questo suo desiderio. Il suo atteggiamento è di fede e di ascolto. Solo la ‘pazzia’ di una donna può vivere e rivelare un evento straordinario come la resurrezione! La sua follia è la stessa follia della nostra politica demonizzata, ridicolizzata, del nostro andare alle radici di una differenza pericolosa: è l’annuncio ardente e appassionato di un “nuovo ordine”.
Sarà forse anche per questo motivo che Maria di Magdala ci è stata presentata come la prostituta, cioè si sono sovrapposte le storie di due donne ben distinte per costruire un modello di peccatrice pentita e per permettere che le donne di tutti i tempi venissero considerate peccatrici e poi, una volta convertite, diventassero pie, umili e sottomesse.
Mi è piaciuto il lavoro che si è fatto nel gruppo con Chiara Zamboni. Il brano preso in considerazione è quello di Matteo 28: due donne, Maria di Magdala e l’altra Maria, si recano al sepolcro. Sanno stare davanti alla tomba vuota: prima bisogna passare attraverso la tomba, cioè la mancanza di parole, il vuoto, l’assenza di Dio, l’attesa. Anche noi dobbiamo imparare a ripartire dal vuoto. Tentare di stare “davanti” al luogo in cui viviamo, leggere la situazione in cui ci sentiamo morte, fermandoci a riflettere e indagare sulle gabbie, sui limiti in cui siamo chiuse o in cui ci hanno chiuse. Se c’è morte del desiderio, senso di inadeguatezza, estraneità… e si cerca di indagare, può ripartire un movimento imprevisto che ci permette di credere nell’impossibile, di cercare una via nuova e imprevedibile, per poterci volgere poi alla resurrezione.
Sono due le donne di fronte al sepolcro: due di fronte a questo evento. Vedono e accolgono l’impossibile, con gioia per il nuovo, ma anche con paura di fronte a ciò che non si conosce ancora. E’ molto importante cercare di stare in due di fronte al sepolcro vuoto, anche se la gioia incrocia ansia e paura.
E’ tipico della politica delle donne aver valorizzato questo essere in due di fronte a un evento trascendente, di fronte al divino, di fronte all’impossibile… Nasce così una percezione nuova della realtà, uno “stare al mondo” profondamente trasformato.
Sono ritornata a casa con una domanda: quali sono le gabbie, i problemi che scopro se sto davanti alla “tomba vuota”?
Nei miei pensieri, nella mia esperienza di fede, nel cammino comunitario, spesso sento l’esigenza di allargare il campo di ricerca, di aprire a sensibilità ed esperienze nuove. Ho ricevuto questi stimoli in modo particolare dalle letture e dall’incontro con teologhe femministe, soprattutto quelle più radicali. Queste loro ricerche mi sono subito apparse come una ventata d’aria fresca, come una consapevolezza nuova che può regalare ai nostri cammini di ricerca (delle donne, ma non solo) un nuovo messaggio di speranza e di libertà.
Se la Bibbia è un testo importante per confrontarmi e convertirmi, sento il bisogno di allargare il campo di indagine e riflessione. Oltretutto la Bibbia è un testo scritto da uomini che, qualche volta, parlano anche delle donne, ma quasi sempre le censurano o le interpretano a loro piacere. Spesso il modello di credente che vi è narrato mi è estraneo: è come se il mio desiderio corresse altrove… Ma dove?
Sono attratta da altre esperienze diverse dalla mia, non solo all’interno dell’ambito ebraico e cristiano, ma legate ad altri percorsi; hanno molte cose belle da dirci: raccontano e parlano di Dio, del divino, usando altre immagini e altre metafore, sono liberanti e operano per gli stessi obiettivi che abbiamo noi (e che noi chiamiamo Regno di Dio).
Penso, ad esempio, alla ricerca sui molti volti e molti nomi per dire Dio, anche al femminile, alla riscoperta delle antiche pratiche spirituali nel mondo denominato pagano, con il culto alla Grande Madre… non per cercare un altro Dio, ma per conoscerLo/La anche attraverso altre esperienze e pratiche di fede… E sento dentro di me l’urgenza di prendere in seria considerazione le loro parole e i loro pensieri, sento l’urgenza di operare dei cambiamenti, accogliendo, approfondendo, certamente anche con discernimento e criticità, ma senza pregiudizi.
Spesso questa ricerca avviene dentro di me e dentro alcune persone della comunità, ma difficilmente diventa terreno di confronto sereno. Il nuovo è spiazzante, a volte può creare sconcerto e può far paura, ma spesso io ritrovo, nelle parole di questi percorsi, gli stessi interrogativi che mi pongo da tempo, trovo parole che io non sono stata ancora in grado di pronunciare, forse soltanto per timore…
Mi piacerebbe che riuscissimo a superare questa difficoltà, che riuscissimo a confrontarci più apertamente, per non correre il rischio di chiuderci e non avere più il coraggio di esprimere il proprio cammino, a cominciare dalla comunità. Mi piacerebbe che chi, come me, sente questo bisogno di approfondimento, di studio, di confronto lo esprimesse apertamente per dare vita a un gruppo di ricerca su questi aspetti che ci interrogano nel profondo del nostro cuore.
Carla Galetto