Gastone Redetti
Il sogno di Frank
Lo sfruttamento emotivo delle donne nel matrimonio
Miopia n.9, maggio 1991
“Quella che seguì fu una notte di vividi, orribili sogni... A volte, sia da sveglio sia sognando che lo era, gli pareva di udire April muoversi per la casa; e una volta, sul far del mattino, avrebbe giurato d’aver aperto gli occhi e d’essersela trovata lì seduta accanto a lui sull’orlo del letto. Era stato un sogno o no?
“Oh, piccola,” sussurrò tra le labbra gonfie e screpolate, “Oh, piccola mia, non andartene.” Allungò la mano in cerca di quella di lei, la trovò, la strinse, “Ti prego, resta.”
“Sssst! È tutto a posto,” disse lei, ricambiandogli la stretta. “È tutto a posto, Frank. Dormi ora.” Il suono della sua voce e il fresco contatto della sua mano gl’infusero una tale, prodigiosa pace, che non si curò di sapere se era un sogno; fu tuttavia sufficiente a farlo risprofondare in un sonno pietosamente privo di sogni. (1)
Nel romanzo dello statunitense Richard Yates, da cui è tratta questa scena, troviamo più volte magistralmente descritta la struttura tipica di tante liti che affliggono le “nuove” coppie occidentali.
Ogni conflitto di potere (che difficilmente viene riconosciuto per tale) è pericoloso, perché l’uomo – dopo aver provocato con il suo comportamento il ritrarsi emotivo della donna – non riesce a comprendere né a sopportare la repentina interruzione del sostegno emotivo femminile. Qualcosa fa precipitare l’uomo in un misto di angoscia e di aggressività, lo conduce alla violenza verbale e a volte fisica. Poi il collasso emotivo, lo stordimento nell’alcol, la percezione confusa della devastazione prodotta e il bisogno di perdono.
Qui, il protagonista Frank ha appena vissuto un tremendo litigio con la moglie, nel corso del quale egli ha sfoderato l’arma delle parole distruttive, disintegranti, e del disprezzo annichilente, dopodiché – al ritirarsi silenzioso di lei – viene “ripreso dall’antico panico: April lo abbandonava”.
Ciò che accade in Frank, dopo il suo comportamento distruttore, non è un vero e proprio pentimento (ossia la consapevolezza etica del male inflitto) ma la confusa ansia di dover pagare un alto prezzo per la propria furia insensata: lo sguardo della madre si allontanerà da me.
Ubriaco, Frank giace in un sonno turbato da un’angoscia abbandonica che viene miracolosamente dissolta quando April gli appare.
Che April si fosse o no accostata al marito quella notte, che cioè la visione di lui avesse o no un riscontro oggettivo, non fa differenza. In un caso o nell’altro quella che appare a Frank è una visione materna, qualcosa in sintonia con le intime fibre del suo essere, del suo bisogno. Sotto le sembianze della moglie è un angelo o una dea che si manifesta nel suo aspetto compassionevole, soccorrevole, nutritore.
Frank l’intellettuale, l’orgoglioso, l’ammirato Frank è un uomo che lotta perpetuamente per nascondere la propria insicurezza e, nel fondo del suo cuore, cerca disperatamente un sostegno materno nella figura della moglie.
Questo cercare (come comunemente si dice) la Madre nella propria moglie, è l’effetto di una proiezione maschile che viene ampiamente dibattuta dal pensiero psicoanalitico da oltre mezzo secolo. Si tratta quindi di un fatto psicologico nient’affatto nuovo, ben individuato anche prima che la società americana evidenziasse in modo del tutto particolare un’ossessione materna nell’uomo (2).
Freud, che vedeva il matrimonio come normale destino sociale di donne e uomini, propose senza mezzi termini questa ricetta per la felicità coniugale: la donna deve diventare madre dell’uomo (3), rinunciando alla sua sessualità “immatura” (e la sua sessualità “matura” risulterà poi in realtà una rinuncia alla propria sessualità tout–court, un farsi passiva di fronte alla sessualità maschile). Queste opinioni di Freud trovano fondamento nella sua convinzione che, nel variegato mondo umano, un solo rapporto si avvicini alla perfezione: quello tra la madre e il figlio maschio.
Tale punto di vista ci sembra possa essere interpretato come l’accettazione irriflessa – da parte di Freud – delle strutture simboliche della cultura occidentale–cristiana, in cui è ricorrente un’unica coppia divina (che è in effetti quella di madre/figlio–maschio: la Madonna con il Bambino) e da cui sono invece quasi totalmente assenti le coppie divine che in altre culture celebrano l’eros eterosessuale.
Ma torniamo ora al sogno–visione di Frank: sarebbe concepibile un sogno analogo in sua moglie? riusciamo a concepire l’ipotesi di una donna che dopo avere annientato moralmente il coniuge, sogni di essere soccorsa, consolata da lui? La domanda è quasi retorica: no, non possiamo. Possiamo concepire in teoria una pari capacità distruttiva, ma è quel sogno che ci è impossibile immaginare rovesciato. Anzi ci accorgiamo che ogni tentativo di immaginare “rovesciata” una situazione di coppia (qualsiasi situazione di coppia) è destinato a fallire perché la situazione è sempre asimmetrica.
Potremo cercare di capire la natura psicologica della proiezione materna di Frank: nostalgia inconscia della reale esperienza della madre? proiezione di una struttura simbolica collettiva?
Sia l’una o l’altra, è certo che l’uomo ha normalmente accesso alla “madre simbolica” tramite la moglie, e non viceversa. Che cosa sta a significare in fondo l’idea (meravigliosamente ingenua in uno psicologo) della “perfezione” del rapporto madre–figlio maschio, se non che il rapporto madre–figlio è il rapporto prediletto dai maschi, cioè dai detentori del potere che richiedono per sé soli il bene inestimabile della cura e dell’amore?
Frank può abbandonarsi a una violenza inconsulta e ancora sperare di essere acquietato dalla radiosa fonte che nutre e perdona. Sua moglie April non può contare che su se stessa; nei conflitti di potere ogni atto di aggressività le verrà restituito moltiplicato per cento e oltre la propria ribellione scorgerà solo un’orizzonte di solitudine. Esisteva da noi un’usanza, non ancora del tutto scomparsa, per cui la madre diceva alla figlia che si sposa: “fa’ in modo che non ti debba più vedere, se non con tuo marito”. La donna giovane viene cioè ritualmente allontanata dalla madre, che la investe dell’intera responsabilità del nuovo matrimonio; se le cose andranno male la colpa sarà della donna che non avrà “saputo fare”, e a cui è drammaticamente chiusa ogni via di ritorno. Le innumerevoli vignette umoristiche che raffigurano una moglie che, valige alla mano, sta per tornare dalla madre non rappresentano in realtà altro che l’esorcizzazione del timore maschile che alla moglie sia data una pur minima possibilità di andarsene (4).
La frantumazione (in senso sia concreto sia simbolico) del vincolo madre–figlia e della continuità matrilineare appare insomma come l’unica garanzia che la figlia–sposa si dedichi interamente alla sua nuova funzione ultramaterna che, con la benedizione della psicanalisi (e fino a ieri, della Chiesa) comprende anche il maternage verso il marito (maschio adulto, statisticamente più anziano della moglie).
Nei maschi si riscontra in genere una risposta viscerale, immediata, alla minima minaccia di furto dell’attenzione materna. La gelosia sessuale verso ipotetici rivali maschi non è che un aspetto delle pretese di possesso sulla donna: si tratta inoltre, per lo più, di fantasie di scarsa consistenza reale e che comunque riportano all’ambito eccitante e più rassicurante di una questione tra maschi.
Il “pericolo” più forte per l’uomo consiste in realtà nella possibilità di rapporto tra la donna e la madre di lei, se è abbastanza potente, non esautorata, non complice del potere maschile. O tra la donna e un’altra donna altamente significativa. Un rapporto tra donne forte e autonomo, non subordinato alle esigenze del marito o (eufemisticamente) “della famiglia” è visto con estremo allarme perché romperebbe quell’isolamento della donna senza cui non sarebbe concepibile lo sfruttamento pieno del maternage. Una “buona moglie” è una donna cacciata, senza via di scampo, alienata nel suo servaggio, pronta a sua volta a dire un domani alle sue figlie: “che non vi debba più vedere”.
È, credo, proprio l’allarme maschile in vista di possibili rapporti seri tra le donne, ad aver suscitato tanta ripulsa emotiva del femminismo da parte del clan degli uomini. Al femminismo vengono riconosciute a volte ragioni di giustizia, ma al contempo lo si accusa di portare ulteriori lacerazioni in un mondo già pieno di conflitti. Tale accusa suona abbastanza strana, e non tiene conto di una caratteristica straordinaria che attraversa tutto il movimento e il pensiero femminista, anche nei suoi momenti più rivendicativi, anche nelle forme dell’estremismo lesbico: la non violenza.
Anche nei testi più tesi, più radicali e problematici del pensiero femminista non troveremo mai né la volontà di sopraffazione che regola i rapporti sociali (e culturali) tra uomini né quell’obliqua malevolenza che spesso avvelena i rapporti tra i due sessi quando nulla è ancora messo esplicitamente in discussione. Troveremo invece uno sforzo continuo, generoso, franco, un’attenzione estrema per l’intera sfera dei problemi umani. Rivolgersi al pensiero femminile con atteggiamento disarmato, non condizionato dall’ansia di essere defraudato, può costituire pertanto un’esperienza fondamentale e irreversibile per l’uomo che arriva a comprendere la bontà del femminismo. Bontà, forse, materna. Non però bontà della madre imbelle e sottomessa, bensì bontà della madre autorevole.
Le donne per riconquistare autorevolezza hanno dovuto riconoscere l’enorme ferita storica che nega la madre alla donna, la donna alla donna. Con l’idea della “madre simbolica”, le donne hanno ora iniziato a riappropriarsi anche teoricamente di una ricchezza sinora unilateralmente fruita dal genere maschile.
Ma prima ancora di ogni formulazione concettuale, un momento di crisi interviene ogni volta che la madre simbolica viene sottratta all’uomo nel minimo gesto individuale di ribellione femminile.
Ci limiteremo, per ora, ad osservare che al di là delle apparenze, al di là del senso provvisorio di defraudamento, un’eventuale difesa ad oltranza del diritto maschile di fruizione materna indicato dal precetto “la moglie divenga la madre del proprio marito” costituirebbe per gli uomini stessi un arresto catastrofico. Se la donna deve farsi madre all’uomo, l’uomo però non deve – nel concetto corrente – farsi figlio alla donna, ma ha anzi l’obbligo di nascondere come vergognosa ogni sua proiezione materna nella donna. E già nel bambino è culturalmente racchiuso “il piccolo uomo” autorizzato se non obbligato a disprezzare nella madre reale la donna impossibilitata a rivendicare qualsiasi autonomia personale. Così, dall’infanzia alla maturità l’uomo è accompagnato da una madre – reale o simbolica – unicamente soccorrevole, non autorevole. O la cui autorevolezza deve essere disprezzata, calpestata. Se la madre sempre-e-solo-soccorevole verrà radicalmente negata ai maschi, ciò andrà anche a favore dei maschi. Il disprezzo per la madre è stato sinora il prezzo della nostra “crescita” e la causa prima della nostra incompletezza spirituale. Se affronteremo “senza angoscia e furia” il vuoto in cui ci lascia il ritiro della madre soccorrevole troveremo forse un modo nuovo e inaspettato di ridefinire la nostra identità maschile.
Gastone Redetti
1) Richard Yates, Revolutionary Road, 1961. Traduzione italiana di Adriana dell’Orto: I non conformisti, Garzanti 1966.
2) Vedi ad es. un immaginario erotico in cui predominano gli elementi sensazionalmente materni (come il gigantismo dei seni), o le teorie psicologiche che hanno insistito oltre ogni ragionevolezza nell’individuare nella madre la responsabile di tutti i disadattamenti psicosociali dei figli (sia maschi che femmine).
3) Cfr. il paragrafo La quadratura del cerchio familiare in Speculum, di Luce Irigaray (Trad. it. di Luisa Muraro, Universale Economica Feltrinelli).
4) Cfr. Miopia n.2, Dimmi di cosa ridi