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Augusta Baldioli

Precauzioni

(Da Miopia n.30, settembre 1997)

Prendiamo una donna e un uomo della stessa età e dello stesso ambiente e condizione sociale: lui “forse” si sentirà vecchio se dovrà camminare con le stampelle, ma “senz’altro” lei comincerà a credersi vecchia all’arrivo della menopausa, quando ancora salta e nuota, aspetta la pensione ma intanto continua a tirar avanti tutta la baracca come dieci anni prima.

In genere! Dico “in genere”, perché ci sono anche le eccezioni, che infatti son lì a confermar la regola. Si può dire anche così: “in genere” un uomo si sente vecchio se proprio non si regge più in piedi, mentre “in genere” una donna crede di esser vecchia se non ha un uomo - anche decrepito! - che la guardi ancora con occhi magari cisposi ma accesi di desiderio.

E, per le donne desiderate da chi esse non desiderano, la vecchiaia propria e dei desideranti può addirittura apparire un sollievo, a me risulta, “in genere”.

Poi ci sono gli inevitabili luoghi comuni: “vecchio-chi-muore” “si-ha-l’età-che-ci-si-sente” “si-ha-l’età-che-si-dimostra” “si-ha-l’età-del-cuore” “si-ha-l’età-del-cervello” “l’importante-è-amare-la-vita” “la-vita-comincia-a-quarant’anni” “non-son-mai-stato (o stata)-così-bene” “ogni-stagione-ha-i suoi-frutti” “l’autunno-è-la-stagione-migliore” “mi-preferisco-adesso” “non-tornerei-indietro”, e via banalizzando e confortandoci come si può, giacché i veri vecchi son noiosi e si ha tutti paura di diventarlo, ma quando lo si è diventati non ci se ne accorge ed è a ‘sto punto che si può diventare dei teneri vecchietti (vecchiette) o dei maledetti vecchiacci (vecchiacce), tutto dipende da come si è stati prima di invecchiare, in genere, appunto.

Nelle fiabe della mia lontana infanzia, i vecchi e le vecchie eran persone importanti con ruoli precisi: eran dei leggendari re, dei saggi pastori sulla montagna, delle amate nonne che si ostinavano ad abitare fuori mano nei boschi; erano maghi o streghe dai fantastici poteri... Ai bambini di oggi è rimasto quel nonno del minestrone che sembra già un puro spirito, Nicoletta Orsomando ben sfumata che cammina sui plantari imbottiti, e quella vecchia signora semisvenuta che chiama otto o dieci persone in una volta col suo bip attaccato al collo: tutti gli altri e le altre si costringono ad esser “giovanili” e ruspanti, perché l’undicesimo comandamento prescrive che miseri e doloranti lo possono essere soltanto i barboni o quelle pochissime persone che non hanno avuto abbastanza iniziativa per far soldi e bella figura, peggio per loro, l’Europa deve andare avanti e dobbiamo rimaner tutti biondi ed il più a lungo possibile, altrimenti ne va di mezzo la nostra bella razza, che è anche sinonimo di civiltà, o no?! C’è stato e forse c’è ancora “il Grande Vecchio”, che forse è finito nei telefilm della serie Star Trek, o forse è andato al mare in un paese caldo dove si può comunque star sempre in braghette, forse è ancora lì che si appresta a votare la finanziaria: in ogni caso è comunque uno fuori dall’ordinario che non possiamo prendere in considerazione (e dovremmo soltanto augurarci che lui smetta di prendere in considerazione noi!). La Grande Vecchia non c’è, forse in omaggio alla venustà, forse perché la vecchiaia delle donne è una questione privata, forse perché è una questione di potere anche qui, ed è ancora raro che le donne ne abbiano.

Son stata in sanatorio “assieme” a Barbara Hutton, quarant’anni fa, ve la ricordate? Era “la donna più ricca del mondo”, possedeva mezza America e continuava a sposare divi del cinema e famigerati avventurieri fascinosi. Si paludava in vestaglie di seta cilestrina col cigno ai bordi e scendeva a far le radiografie in braccio al fustacchione di turno: la ricordo come una ricca donna “vecchia”, poveretta, che allora doveva essere sulla cinquantina.

Mi ricordo mia nonna Nin, che aveva ottant’anni nel ’40: camminava dritta e fiera nella sua lunga gonna contadina, insultando le rare automobili che strombazzando le chiedevano strada. Presa in ostaggio dai fascisti, ha insultato anche il tenente Finestra che ora è un senatore del nostro belpaese un po’ voltagabbana. Spendeva i suoi pochi spiccioli per comprarmi il “surbett”, “il lapis e l’iscartàri”, mi faceva il risotto con lo zafferano che a casa mia “infiammava il pancino” e mi dissetava con l’acqua delle fontanelle raccolta nella cocca del suo ormai incartapecorito “scusàl”: la mia buona mamma ne era disperata, ovviamente, perché la mia buona mamma “è morta giovane” ma è sempre stata un po’ vecchia, non ha avuto il tempo di ringiovanire un po’ con i miei vent’anni. Oggi io ho l’età di quando lei è morta, non so se son vecchia o giovane, ma - per precauzione - appassionatamente mi innamoro dei ragazzi senegalesi e dei bambini marocchini, che mi contraccambiano, ed allora non sono scontenta dei miei primi sessant’anni.

Augusta Baldioli

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