Elena Fogarolo
AAA Differenza cercasi
Da Miopia n.9, Maggio 1991
Si parla ormai da diversi anni di quella che ─ sinteticamente ─ viene chiamata “teoria della differenza sessuale” (o anche “pensiero della differenza”). Credo che tutti, donne o uomini, quando ne abbiamo sentito per la prima volta qualche enunciazione, abbiamo fatto un salto. Almeno interiore.
Reazione ovvia: quell’idea che il mondo umano sia spaccato in due secondo il sesso, che tale spaccatura vada resa visibile e anzi esaltata, era tale da “fonderci” il cervello. Una cosa inaudita, nel senso proprio di “mai udita”.
Allo stesso modo devono aver reagito molte persone, quando è stato loro detto che la terra è rotonda. Non solo stupore, ma incredulità, e senso dell’assurdo: come potrà mai vivere chi sta dall’altra parte, con la testa in giù e i “piedi all’incontrario” (da cui la parola “antipodi”)?
Così la teoria della differenza sessuale ─ accettata per quel che davvero è senza essere addolcita, addomesticata o ricondotta a vecchi stereotipi ─ scombina tutte le nostre mappe culturali e ci induce a formulare domande preoccupate sulla sorte di coloro che ne potrebbero venire danneggiati. Domande e preoccupazioni che a un secondo esame si rivelano inconsistenti, ma che sorgono inevitabilmente quando cadono schemi scientifici fondamentali.
A parte quella preoccupazione ingenua per chi vive agli antipodi, cui accennavo, ricorderò una curioso percorso del pensiero scientifico di Antoine Lavoisier (il grande chimico giustiziato durante la Rivoluzione francese). Lavoisier scoprì ─ come è noto ─ l’ossigeno e, primo fra tutti, ne studiò alcune reazioni chimiche. Egli scoprì tra l’altro che il mondo animale consuma ossigeno continuamente. Ciò che a Lavoisier rimase del tutto ignoto, è il fatto che l’ossigeno “consumato” viene continuamente restituito dai vegetali. Così egli si fece l’idea che la scorta di ossigeno esistente ai suoi tempi fosse destinata a un esaurimento certo. Egli quindi si preoccupò di ipotizzare ─ mediante calcoli complicati ─ per quanti anni ancora quella scorta di ossigeno avrebbe permesso la vita della specie umana.Tutto ciò evidenzia come una scoperta, un pensiero nuovo debbano sempre fare i conti con il sistema delle verità scientifiche precedenti, persino nella mente di chi li produce: c’è bisogno di una “acclimatazione” del nuovo pensare.
Anche la teoria della differenza sessuale ha bisogno di acclimatazione: ciò che a tutta prima ci apparve “inaudito”, si collegherà infine con tanti e tanti dati che avevamo già acquisito. Occorre con pazienza sospendere il giudizio e riflettere a lungo sulle deficienze della teoria dell’uguaglianza, che il pensiero della differenza si propone di sostituire. Riconosceremo allora, nell’egualitarismo, una concezione astratta, un semplice modello sociologico su cui lavorare, pieno di manchevolezze e di cui non è stata data ─ in alcun tempo e luogo ─ alcuna realizzazione effettiva. Ed ecco anche farsi avanti una verità semplice ed evidente: gli uomini imbevuti di eguaglianza sono alla prova dei fatti restii a far entrare davvero ─ nell’eguaglianza ─ le donne.
Oltre alle difficoltà enormi che ogni teoria radicalmente nuova si trova davanti, c’è in questo caso un ostacolo particolare: questa teoria è stata enunciata da donne. Cioè da una fonte equivoca, delegittimata. Parole che vengono da dove dovrebbe provenire silenzio. O un melodioso lallage, e consolazione, e luoghi comuni ed esortazioni antichissime: “su dài, non è nulla... passerà... è destino”.
C’è infine, come se tutto ciò non bastasse, una difficoltà di linguaggio: le teoriche della differenza usano un linguaggio di tipo filosofico, difficile. Non è mai semplice enunciare cose mai dette prima, e da angolazioni nuove. E’ indispensabile un certo rigore, una puntigliosa ricerca dell’esattezza concettuale. Il “mai detto” ha bisogno di parole nuove, di neologismi, di un nuovo modo di usare i vecchi termini: anche tali mutamenti linguistici risultano al primo impatto quasi sempre sgradevoli. E se il linguaggio delle donne diventa difficile, ecco che subito si alzano nuovi lamenti. Perché le donne anche parlando anche teorizzando devono essere soccorrevoli, venire incontro: mentre nessuno si aspetta ciò, poniamo, da un Kant.
Quella fonte delegittimata giudica dunque il mondo, ne dà una definizione netta: il mondo umano in realtà è due mondi. “Ma chi si credono? cosa si sognano? si è mai sentita un’assurdità del genere? aggiungere un’altra divisione, perché il mondo non è abbastanza diviso!”. Obiezioni di questo tenore vengono anche dall’interno del “mondo” interessato alla cosiddetta questione femminile. Giudizi precipitosi, arroganti, supponenti sono stati enunciati senza considerare le proprie competenze e incompetenze, senza chiedersi seriamente chi sono queste teoriche, che lavoro hanno alle spalle, che garanzie intellettuali offrono, che metodo hanno seguito.
La teoria della differenza sessuale è stata vista anche come il segno estremo dell’immoralità femminile. E qui la critica ─ a suo modo ─ “va a segno”: perché infatti la teoria, togliendo le donne “anche” dalla giustizia maschile, le colloca al di fuori dell’etica “neutra”. Se pensiamo del resto alla reazione di molti uomini di fronte all’idea dell’autodeterminazione della donna in fatto di aborto o ─ in altri termini ─ alla messa in crisi del diritto patriarcale sui figli, non ci stupiremo che l’intenzione delle donne di sottrarre “tutte se stesse” alla giurisdizione neutra─maschile possa risultare cosa inconcepibile e scandalosa.
Credo che una debolezza effettiva della teoria della differenza sessuale sia consistita nella mancanza di una sua divulgazione adeguata. Molte donne non hanno avuto la possibilità e il tempo di farla propria. Il pensiero della differenza è divenuto in certo modo culturalmente egemone, senza che fosse molto conosciuto e compreso. La riflessione sulle sue origini storiche è stata spesso insufficiente, cosicché enunciati marginali sono stati a volte considerati come essenziali e politicamente discriminanti.
Elena Fogarolo