Ebe Lumetti
Sai che ti viene una bella bambina?
Un'ostetrica, diplomata nel 1935, si racconta
Da Miopia n.33, febbraio 1999, intervista a cura di Elena Fogarolo
Mia madre. E’ stata mia madre ad avviarmi a questa professione.
Mia madre non faceva l’ostetrica di mestiere, ma nella frazione dislocata di montagna dove vivevamo, nei casi di emergenza si sostituiva all’ostetrica che tardava ad arrivare. Ma soprattutto mia madre aveva tanta passione per i bambini, per le donne che dovevano partorire... e i vicini la chiamavano per far bollire l’acqua, per assistere l’ostetrica, quelle cose lì... mia madre conosceva tutti i bambini che nascevano...
E allora poi ha mandato me.
Io ho ottantaquattro anni. Ho iniziato a studiare ostetricia a diciotto. Nel paese dell’Emilia in cui abitavo c’erano solo le scuole fino alla quarta elementare, e io piangevo dalla voglia di continuare.
Così dopo la quarta la maestra ha detto a mia madre: “mandamela qui! una più una meno... e poi mi aiuta con gli altri”. E sono stata un altro anno in quarta.
La quinta elementare l’ho fatta più tardi. Avevo quindici anni. Poi ho fatto le tre medie e infine sono entrata ad ostetricia.
II primo giorno di scuola, il primario ci tiene una specie di conferenza. Io ero seduta in prima fila, ero vestita e acconciata molto semplicemente, non dimostravo assolutamente diciotto anni, il primario mi fa: “si alzi lei... quanti anni ha?” e dopo la mia risposta: “si metta seduta” con il tono di uno che intende “ne vedrai delle belle qui!”. In effetti fino ad allora avevo fatto una vita molto chiusa: nella famiglia d’origine, dai parenti, nel collegio delle suore che ci venivano anche a prendere a scuola... queste suore dicevano che le calze di nailon erano di color peccato!
La scuola di ostetricia è stata una esperienza molto bella, anche se vivevo all’interno dell'ospedale, e non si usciva mai, mentre le ragazze di adesso... allora si andava in cappella quando la suora diceva “c’è il rosario”...
Si, è stato bello, ma anche una vita dura, di sacrifici... all’inizio mi hanno mandata al reparto isolamento, dove c’erano le malattie infettive... una mia amica si è presa il tifo, ha perso i capelli... era una bella ragazza e si è rovinata, proprio rovinata...
Io mi dicevo: “mamma mia! proprio all’isolamento!”... un mese si faceva all’isolamento, poi si cambiava a ginecologia, poi pediatria con almeno una cinquantina di bambini da pulire e curare...
Anche se è stata una vita di sacrifici, non ho mai pensato di mollare. C’erano delle consolazioni, le suore ci seguivano, ci volevano bene...
Alla fine dei tre anni ho preso tre diplomi: quello di ostetrica, quello di patologia coloniale e uno di religione. Il diploma di religione mi ha fruttato un premio... un viaggio... ci hanno pagato un pullman e siamo andati in Toscana ospiti di alcune suore, siamo andati a vedere un santuario...
Ho preso il diploma con 50 su 50, era il primo luglio 1935, e poi sono andata a casa, ho iniziato a lavorare subito... sono arrivata a casa il 4 o il 5 luglio... nella frazione dove stavo c’erano le mulattiere e le ostetriche andavano a piedi... mi sono venuti a chiamare subito... ma questo non era il mio primo parto... di parti ne avevo visti tanti in clinica.
Il primo parto cui ho assistito fuori dalla clinica è stato quando facevo il secondo anno. Era la prima domenica di ottobre... dovevo andare a spasso con mia sorella e invece sono stata a casa perché c'era questa donna che doveva partorire... questo bambino è nato nel 1934... non ero ancora diplomata... dopo è venuto il medico... io non mi sentivo di assumermi tutta la responsabilità, essendo senza diploma...
E’ vero che il parto allora era vissuto con una certa reticenza... le donne però si affidavano a me... si confidavano molto... non mi hanno taciuto niente... niente... come se fossero andate dal prete a confessarsi... sì, si diventava una figura di riferimento... però ci vogliono delle maniere, delle maniere buone, ci vuol molto spirito di sacrificio... vedo mia figlia adesso che si comporta nello stesso modo... fa il medico ma soprattutto ha tanta umanità, ha tanta umanità con la gente... ha attenzione per chi soffre...
Ed io lo stesso...
Ho lavoralo undici anni in una condotta con quattordici parrocchie; ero dipendente comunale.
A quei tempi, di donne che lavoravano fuori casa, esclusi i campi, c’eravamo le maestre elementari e noi levatrici...
Le donne si confidavano. Ad esempio veniva una e mi diceva: “sono disperata, sono incinta, ho due bambini piccoli...” e allora io la lasciavo parlare... e dopo pian piano parlavo io... una aveva due maschietti e le dicevo “sai che ti viene una bella bambina e sarai contenta”... e dopo infatti era nata una bambina...
Cercavo di aiutare le donne... ah! i mariti! le donne mi raccontavano tutto... tanti erano alcolizzati... Per le ragazze-madri era un disastro... ho avuto un caso pietosissimo... io lo sapevo Che ‘sta donna era incinta... stava distante, in una borgata isolata... lei non si muoveva mai di casa... era incinta a causa di un congiunto... nessuno sapeva niente...
Una notte che pioveva... un’acqua un’acqua un’acqua... avrò fatto dodici chilometri quella notte a piedi sotto l’acqua, poi quando sono arrivata mi si è presentata davanti una donna grande così... io ho detto ai fratelli “se voialtri credete...” e loro “nessuno deve saper niente” e io: “Va bene... che nessuno sappia niente... ma se questa donna muore, la responsabile sono io... perché mi avete chiamata? potevate farla morire da sola... e allora perché sono venuta? io tento... e dopo vi so dire se potete tenerla o dovete ricoverarla...”. Per fortuna che il bambino era piccolo... chissà cosa avevano in testa... penso di ammazzare il figlio... ho visitato la donna e poi il bambino è nato... e dopo l’ho dovuto portare al brefotrofio... in corriera sono andata al brefotrofio con il piccolo in braccio... un figlio illegittimo... Di questi illegittimi ne ho portati ancora... tre di una stessa donna... una un po’ deficiente, povera... non si capiva bene chi la metteva incinta... sicuramente il patrigno era tra i responsabili... io gli ho detto: “ma perché non lo tenete questo bel bambino? è robusto, sano... lo fate crescere... domani avete un uomo...” e invece li hanno portati via tutti e tre ‘sti bambini...
Uno di questi ragazzi anni dopo mi ha contattato perché voleva sapere chi fosse sua madre...
Sono andata quattro volte in quel paese a portar via i bambini delle nubili... mi veniva un certo che... un certo che... ero giovane anch’io... mi disperavo a veder ‘ste cose... ne ho viste di tutti i colori.
Ho lavorato per quattordici frazioni e due condotte mediche e tutto a piedi... anche 24 chilometri tutti a piedi... Assistere a questi parti, a volte drammatici, non mi ha tuttavia maldisposta verso la mia maternità... tutto il contrario... quando sono nati i miei figli sono stata felicissima...
Che il lavoro mi piaceva, era già visibile quando frequentavo la scuola di ostetricia... tanto che gli studenti di medicina avevano inventato una poesiola “la Lumetti / tira fuori / solo maschietti / le passano davanti / come uscissero / dai suoi guanti” pcrché a me mi pare nascevano soprattutto maschi... anche se è vero che nascono in certi periodi più femmine e in altri più maschi... adesso ci sono quasi solo femmine... con tutti i maschi che si ammazzano il sabato sera...
Le donne non si vergognavano quando partorivano. Se si vergognavano, era perché glielo avevano inculcato. Quando sono arrivata qui in Veneto, nel ’49, il parto era una cosa diversa che in Emilia.
In Emilia ho lavorato undici anni: mi pareva che le donne vivessero la cosa più naturalmente... erano tra l’altro quasi tutte di famiglia contadina, vedevano le bestie... Invece quando son arrivata qui... non sono mica stata bene...
Qui nel Veneto ho trovato le donne tanto diffidenti... poi pian piano le cose sono cambiate... ma i primi tempi per quanto io mi occupassi della donna, del bambino, erano contente sì di quel che facevo, però poteva capitare che passavo davanti alla loro casa quindici giorni dopo e neanche mi salutavano...
Tenevano tutto nascosto... guai! non aprivano la bocca anche se avevano il male fin sopra gli occhi... per non farsi sentire dai vicini... ma io: “ma come? quando assistete le bestie... questo, quello, il coniglio... non vedete che è una cosa naturale?”.
Si vergognavano tanto... e così soffrivano le pene dell’inferno. Io insegnavo la ginnastica, il respiro, dicevo di rilassarsi... ma non ne volevano mica sapere... una roba impressionante... e poi le suocere! erano terribili! erano spesso ubriache...
Qui l’ambiente era arretrato in tanti sensi... il Comune diceva che i soldi per l’ostetrica erano soldi buttati via...
E poi c’erano i preti che alimentavano questa mentalità della vergogna.
Quando mi sono presentata ad un prete, questo mi ha accolta dicendo: “sì, un bel lavoro proprio la fa!” e io: “perché?” “perché abbiamo già saputo che lei è una comunista che viene dall’Emilia e abbiamo l’impressione che lei metta subbuglio nelle nostre case, nelle nostre famiglie e le allontani dalla Chiesa...” sono rimasta lì... poi ho detto che anche in Emilia c’erano persone per bene...
Un po’ alla volta poi mi sono integrata.
Come ostetrica ero presente a tutti i battesimi: allora si battezzava dopo due o tre giorni, la madre non c’era. Io ero al suo posto... andavo io, i padrini, il padre... aiutavo il prete e rispondevo nelle preghiere... la madre allora veniva purificata dopo quaranta giorni...
Mi sono trovata bene con le colleghe ostetriche; anche con le più anziane. Negli ospedali il lavoro non poteva essere svolto bene: sapevo che le ostetriche degli ospedali erano molto criticate, ma bisogna tener presente che erano troppo poche per la quantità di lavoro da svolgere...
Qui nei paesi i bambini sono nati in casa fino agli anni Settanta, e anche oltre... quando hanno cominciato a nascere in ospedale, io andavo con la mamma e l’assistevo lì... Qui in pianura giravo in bicicletta. Nel ‘56 mi sono comprata un motorino, il primo “Bianchetti”... Non avevo il telefono perché non sarebbe servito a niente dato che nessuno ce l’aveva... venivano a chiamarmi in bicicletta, di notte, a tutte le ore...
Sono andata in pensione a 66 anni.
Ebe Lumetti