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Maria Luisa Martinelli

I passerotti è tanto che esistono

(Da Miopia n.30, settembre 1997 - Numero monotematico IL TEMPO DI ECATE)


(“Le mie non sono né stupidaggini né spacconate sai, è la mia testa che è leggera”)

[Il testo che segue è stato tratto dal lavoro inedito Viaggio in una stanza, in cui Marisa Luisa Martinelli ha tra l’altro “raccolto alcune tra le tante osservazioni fatte da mia madre nell’ultimo anno della sua vita”. La madre è morta a 87 anni il 7 settembre 1995. Ndr]

“Ecco i passeri vengono a mangiare” osserva. “Pensa che una grossa merla li ha assunti come operai ma non vuole spendere per nutrirli così loro scappano qui da noi per mangiare”. “Sono tanto mal pagati poveri passeri!” aggiunge con grande partecipazione.

Poi mi guarda e con l’aria furba mi dice “A me piace lavorare di fantasia”.

E di fantasia continua a lavorare sui passerotti.

“C’è un presidente, sai, che organizza i loro pasti” mi dice un’altra volta osservandoli mangiare. “Un presidente?” dico io.

“Sì” mi risponde “non vedi che prima vengono a mangiare i piccoli poi le coppie poi i più vecchi...”.

“Ah una repubblica di passeri!” aggiungo io.

Lei ci pensa un po’ poi mi fa “No non è possibile, i passerotti è tanto che esistono, la repubblica è una cosa moderna!”.

“Allora è un re più che un presidente il passerotto capo” dico io. “Forse” mi risponde poco convinta.

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Tutto questo lavoro di fantasia deve essere faticoso.

Lei riassume questa fatica in una frase “Il sogno nel sogno”. “Ma cosa significa?” le chiedo io.

“Vuol dire che io penso a quello che non posso più fare e mi sembra di sognare”.

“Ma cos’è che non puoi più fare?” le chiedo.

“Ma... per esempio volare, prendere le farfalle...”.

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“Questa casa” mi dice improvvisamente “più gli altri me la muovono meno io sono capace di vederla... non è mia questa casa perché è una casa di vetro”.

Il vetro, la casa di vetro ricorrono spesso nei suoi discorsi e si fa strada in lei un senso di estraneità alla sua vera casa.

“Io guardo sempre dietro un vetro” mi dice.

“Da una finestra dalla casa forse?” le chiedo.

“Sì”.

“E ti piacerebbe andare oltre quel vetro?”.

“Oh magari!”.

Addirittura mi racconta che ha sognato di essere rimasta prigioniera in una vetrina della UPIM!

E’ chiaro che le piacerebbe guardare il mondo direttamente senza lo schermo del vetro, uscire di casa.

La casa comincia a starle stretta.

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“Tutto è possibile in questo posto che non è più la mia casa”.

Dunque la casa che è stato il suo habitat quotidiano per ottant’anni lei, la casalinga convinta, non la riconosce più.

La cerca fuori e forse dentro di sé ma trova l’ordine che aveva costruito tutto sconvolto e i luoghi irriconoscibili.

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Quando va a letto, la sera, diventa irrequieta, chiama più volte prima di addormentarsi mai sazia della mia presenza come i bambini con la madre.

Nella stanza è acceso un piccolo lume, ma la penombra che si crea sulle pareti le fa paura.

“Scommetto che ti piacerebbe che ti cantassi la ninna nanna” le dico mentre le rincalzo le coperte.

“Eh sì” mi risponde illuminandosi però subito dopo aggiunge “ma senza che tu debba fare troppa fatica!”.

Che io cantassi le piacerebbe ma teme la mia stanchezza. Ha sempre davanti agli occhi la mia immagine affaticata quando la sollevo, la sposto, la giro nel letto. Mantiene una grande attenzione per chi le sta intorno.

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“Non pestare quei bei fiori” mi dice.

“Ma sono qui” rispondo io che sto nella stanza da tutt’altra parte rispetto al cesto di primule.

“La percezione spazio-temporale è carente” direbbe il geriatra.

Io invece so benissimo che lei manifesta così un momento di aggressività nei miei confronti.

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“Essere in pace per poter andarsene” questo è il suo pensiero ricorrente “ma non sono in pace” poi aggiunge “e così resto qui”.

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Il pensiero della morte è naturale che incomba, ma l’originalità con cui l’esprime mi stupisce.

Come quando mi dice “Sono piegata in due” alludendo all’inclinazione estremamente curva assunta dal suo corpo.

Poi aggiunge subito con l’aria spaventata “Mi toccherà entrare nella tomba così piegata in due”.

Questa capacità che ha di uscire da se stessa per vedersi com’è o come sarà nel tempo è un’acquisizione recente.

La stessa immagine di sé ricorre anche quando una sera la metto a letto.

“Pensare che quando me ne andrò da qui sarò stesa come ora e dovrò stare così tutta la vita!”.

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La pace, l’essere in pace e molto importante per lei.

“Vedi, a me spesso va via la volontà di essere buona” mi dice dopo che l’ho rimproverata per essere stata capricciosa.

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“Mettimi un po’ viva” mi ha detto uno degli ultimi giorni tendendomi le mani perché la alzassi.

... “Vorrei capire il perché di questa astinenza” mi dice con aria interrogativa.

“Da che cosa?”.

“Dalla gente... a che serve?”

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“Gli anni biondi” dice guardando fuori “il fiore rosso...”.

... al medico che le chiede “Ma è vero che vede delle persone qui con lei, che sente delle presenze?”.

Lei risponde “Sì, è vero”.

“Ma lei crede che ci siano veramente?” indaga lui per capire fino a che punto sia “lucida”.

“No, forse no, però io le avverto” dice tutta assorta.

“Ma vede” continua con aria furba “io credo che le cose un po’ me le invento per passare il tempo perché mi annoio tanto!”.

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“Oggi hanno tanto insistito perché prendessi la tessera di partito” racconta al mio rientro a casa. Fingo di credere che la cosa sia realmente successa.

“Di quale partito?”.

“Ma di un partito di sinistra”.

“E tu?” le chiedo.

“In un primo tempo ho pensato di prenderla per riguardo a te. Poi mi son detta: guarda il babbo com’è finito male e anche tu... il tuo partito oggi non conta più niente; allora non l’ho presa”.

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“Ma dimmi, noi due siamo vere o siamo al cinema?”

Marisa Martinelli

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