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Maria Luisa Martinelli

Regaliamoci una storia

(Da Miopia n.38, settebre 2001 - Numero monotematico CUORI DI CARTA)

Molti anni fa lessi un racconto di Anna Banti (1) in cui un personaggio femminile parlava della fedeltà segretamente mantenuta durante la sua vita a una voce interiore che le sussurrava “Non abbandonarmi!” ogni volta che un uomo si interessava a lei. Quasi un imperativo che era impossibile tradire per non venir meno a una promessa.

Debbo confessare che quel pensiero mi impressionò molto, perché rispondeva in quel momento a una sorta di controllo che imponevo a me stessa nei rapporti sentimentali (cosa per fortuna in seguito superata!).

Negli ultimi tempi quell’immagine è riaffiorata in me, ma in ben altro contesto.

E’ successo quando ho scoperto il “pensiero autobiografico” di Duccio Demetrio (2), che definisce l’autobiografia “una compagnia segreta, meditativa, comunicata agli altri soltanto attraverso sparsi ricordi”. Come una voce interna che dice: “Non abbandonarmi ... rendimi visibile”.

Bene, anche questa volta sono stata colpita nel mio punto debole, quello della timida che scopre finalmente un modo per comunicare e mi sono buttata con gran passione a scrivere di me, dall’infanzia in su.

All’inizio forse con la segreta speranza di essere letta, “scoperta” dagli altri nella mia giusta luce, quasi una ricompensa per il silenzio toccato a una vita comune, una vita come tante.

Poi, via via, ho provato un gran gusto a scrivere per me sola, a fare delle scoperte sul mio passato, guidata da una curiosità che spero sana non narcisistica, con quello slancio che Dacia Maraini (3), parlando della scrittura, definisce così: “Un correre dall’innamorato e l’innamorato è il racconto”.

L’emozione infatti di scoprire che ho vissuto tutta una serie di eventi, che ho incontrato tante persone, che ho visto molti luoghi sta diventando sempre più forte.

E’ come se i ricordi ormai stratificati si liberassero e andassero a riempire le tessere mancanti di un mosaico.

E la sensazione piacevole che provo è la consapevolezza di aver vissuto e soprattutto di “esserci” ora.

E per quanto emergano tra le cose belle anche sofferenze sopite, episodi che avevo rimosso, ora a distanza di tempo mi sembra di poter venire a patti con quel passato.

Di qui, un gran da fare per ritrovarmi in libri-film-oggetti-canzoni-piccole annotazioni sparse nel mio disordine, ma anche odori e colori che facciano riemergere i ricordi.

Follia forse? Non credo, se il risultato è quello di sentirmi un po’ più riconciliata con me stessa. Demetrio a questo proposito parla di una riconciliazione che “procura all’autore della propria vita emozioni di quiete”.

Come è avvenuto per un burattino vecchio e malconcio (un guerriero medioevale senza una gamba, fatto di carta, stoffa e terracotta) trovato alla morte di mio padre tra le piccole cose che conservava. Faceva parte della batteria di burattini annessi a un teatrino, quand’ero bimba di quattro cinque anni.

Lui se l’era portato in guerra come mio ricordo.

Oggi, attraverso quell’oggetto, emerge con prepotenza nella mia memoria l’immagine di lui, abile burattinaio che mi intratteneva con le sue storie quando io piccola non volevo mangiare.

Lui che non tornava mai dalla guerra, io che cantavo a squarciagola “L’orticello di guerra” (canzone patriottica dell’epoca) , lui che tornò “ferito” come il burattino, ma nello spirito più che nel corpo, così diverso da come lo ricordavo. Poi, in seguito, nella mia età adulta i nostri scontri drammatici. Senza dubbio oggi quel burattino si fa tramite tra me e mio padre che non c’è più, come mediatore di riconciliazione e anche come simbolo di ciò che lui mi ha insegnato e che ora conta molto per me: la parola comunicata, il racconto.

A proposito di questa ricostruzione paziente del passato, Demetrio parla di “un io tessitore che collega e intreccia, che ricostruendo ricostruisce”.

Certo non è facile tessere insieme tutte le identità presenti dentro di me. C’è stato un tempo in cui le vivevo come contraddizioni inconciliabili.

E’ da poco che, grazie all’effetto di ricomposizione del far memoria, le accetto maggiormente e quasi riconosco nella pluralità delle mie identità passate un segno di vitalità.

Ma c’è di più. Insieme a me, quasi per contagio, alcune amiche stanno ritrovando il gusto di raccontarsi. E il bello è che questa passione dà ulteriori gratificazioni se la si pratica in gruppo.

C’è infatti la scoperta di tante piccole storie parallele nello stesso arco generazionale e un ascoltarci reciproco che ci rende protagoniste e pubblico insieme.

Ci scopriamo infatti molto diverse tra noi per scelte e reazioni opposte, avvenute nel medesimo contesto sociale e storico, ma la cosa sembra chiarire e rafforzare le nostre singole identità.

Non solo, in ognuno dei nostri racconti emergono tante vite nella stessa vita, al punto da farci pensare: “Quella di ieri che ero io, chi era? Era un me diverso da me”.

E poi tutti i personaggi che popolano le nostre storie sembrano rinascere a vita nuova con uno spessore che nella realtà probabilmente non avevano. Fantasia? Parto poetico della memoria? E se anche fosse?

Per noi donne non più giovanissime ora può essere importante compiere un viaggio attraversando epoche-luoghi-persone che ci restituiscono un po’ di quello che siamo state!

“La vecchiaia inizia - dice Demetrio - quando quel sentimento di essere in tanti dentro di noi si spegne o per necessità o per ripiegamento su di noi”.

Bene. La rivisitazione dei luoghi polverosi della memoria e l’incontro con chi li abitava ci rende più vivo il presente e ci risveglia forse il desiderio di vivere ancora tante storie!

Marisa Martinelli

1) A.Banti, Allarme sul lago.

2) D.Demetrio, Raccontarsi. L’autobiografia come cura di sè.

3) D.Maraini, Amata scrittura.

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