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Beppe Pavan

Distesi davanti agli occhi

(Da Miopia n.38, settebre 2001 - Numero monografico CUORI DI CARTA)

So che parlerò soprattutto dello scrivere, del mio cuore di carta; quindi voglio dichiarare subito l’amore e la riconoscenza ai primi cuori di carta che ho incontrato leggendo. Libri. Sopra ogni altro quelli delle femministe radicali e di uomini le cui parole trasmettono la vivacità dell’esperienza che le ha generate.

Amo vedermi circondato di libri nella stanza in cui scrivo: mi fanno stare bene, li sento parte di me, anche se spesso non ricordo di cosa parlino o non so ritrovare le pagine da cui trarre le citazioni che vorrei. Anche quelli che non ho ancora letto.

Così “Cuori di carta” mi ha catturato subito, perché cuore (amore, tenerezza, passione, relazione…) e carta (scritta e da scrivere) sono tra le costanti della mia vita a cui sono più affezionato.

Non a caso il primo ricordo che mi hanno fatto affiorare è la fittissima corrispondenza che ci siamo scambiati, Carla e io, durante i miei 15 mesi di naja. Ogni pezzo di carta a portata di mano, compresa quella destinata a ben altri scopi di natura igienica, diventava quotidiano veicolo di pensieri, amorosi e non solo: descrizioni di paesaggi, esterni ed interiori, racconti di incazzature, analisi di avvenimenti... e speranze, progetti, poesie.

Le ore di libera uscita spesso le dedicavo alla corrispondenza con una decina di amici e amiche, oltre alla mia famiglia: era il contatto con la vita, indispensabile in quel lugubre luogo di morte. Era anche (oggi ne sono consapevole) la mia autoformazione che proseguiva, nonostante le mille tentazioni dell’indifferenza e dei più tristi stereotipi patriarcali.

Scrivevo perché volevo comunicare le cose che mi nascevano dentro e poter leggere le cose che altri e altre, Carla per prima, avevano da dirmi. Volevo soprattutto conoscerla e farmi conoscere, perché i progetti, che ci vedevano protagonisti sempre più in solido, non comportassero tempi troppo lunghi per la realizzazione. Lo scambio è stato efficace: abbiamo cominciato a “filare” quando ero già sotto naja, ci siamo sposati sei mesi dopo il congedo. Trent’anni fa.

Il desiderio di comunicare attraverso la scrittura è cresciuto con me. Scrivevo sui giornalini “istituzionali” negli anni delle medie e del ginnasio; mi inventavo numeri unici (Gandhi e la non violenza); gli stessi temi di italiano erano occasioni per riflessioni molto personali. Erano anni di spontaneità e creatività, abbastanza sorprendenti nell’ambiente omologante del seminario. Autogestii anche una breve stagione di tazebao affissi sulla porta dell’aula, contenenti satire e scherzi all’indirizzo di reverendi prof. o su aspetti particolari della vita quotidiana. Anche negli anni del Sindacato ho tentato la strada del giornalino, non per dare informazioni (era compito dei volantini), ma per ospitare pensieri in libertà, riflessioni critiche e autocritiche, polemiche. Dio solo sa quanto ce ne fosse bisogno!…

Sono sempre stato convinto dell’efficacia di questo strumento: per comunicare e conoscere, entrare in relazione, tessere reti. Così è nata l’idea, dopo tre anni di Gruppo Uomini, di affiancare alla riflessione e all’autocoscienza un foglietto mensile, Uomini in Cammino, che ci facesse sentire di essere “in buona compagnia”, dando conto dei percorsi maschili e delle riflessioni sul maschile di cui veniamo a conoscenza attraverso incontri e letture. Il suo scopo non è quello di dare visibilità al percorso del gruppo: primo, perché la consegna reciproca è quella di non divulgare quanto ci andiamo raccontando; secondo, perché condivido ancora l’osservazione di un amico gay all’inizio del nostro cammino: “Gli uomini, dopo due giorni di riflessione su un tema, credono di poter già salire in cattedra e insegnare sull’argomento”.

Mi capita però (non troppo spesso, per fortuna) di essere sollecitato a raccontare, su qualche rivista, il percorso mio e quello del gruppo, a sviluppare qualche riflessione o a commentare qualche avvenimento. L’antivirus per il rischio contro cui quel mio amico mi aveva messo in guardia si chiama “partire da me”. A volte mi sembra una pratica egocentrica, come se parlare e scrivere in prima persona significasse ritenere particolarmente degne di attenzione le mie parole e i miei pensieri. Il secondo antivirus è l’ascolto: le mie hanno la stessa importanza delle parole altrui, si incontrano sullo stesso piano, tra i ciottoli dei sentieri su cui stiamo camminando; si annusano, si riconoscono, si sorridono, si mescolano… A volte ammutoliscono, sembrano imbronciate: è quando entrano in crisi perché ne hanno incontrato un gruppo particolarmente significativo e ci stanno pensando su. Così succede che cambino, che dopo qualche tempo mi ritrovi ad usare parole nuove per esprimere pensieri che sono mutati. Allora la mia gioia è grande, come ad ogni primavera.

Tornando a Uomini in Cammino, devo riconoscere che ha finora svolto il suo compito con discreta efficacia: ci fa conoscere percorsi e riflessioni di altri uomini e di donne sugli uomini e, insieme ad Internet, ci aiuta a tessere e consolidare la rete di relazioni tra uomini, in Italia e non solo.

A proposito di Internet: il computer non è di carta, ma le emozioni sono ugualmente forti e autentiche quando alle sue finestre fanno capolino uomini e donne curiosi/e del nostro cammino e desiderosi/e di comunicare. Ma, anche se possiede una scrivania, devo confessarvi che non mi riesce di scrivere direttamente sulla tastiera: la prima stesura è sempre sulla carta, perché mi piace toccarla, mi piace vedere i fogli sparsi, coperti di pensieri e di parole, di cancellature, richiami e correzioni. I miei pensieri sono lì, distesi davanti agli occhi, per poter essere esaminati due, tre, quattro volte… non seminascosti da un monitor troppo piccolo. Quando mi fermo per richiamare alla mente e al cuore il volto o semplicemente il nome delle persone per le quali sto scrivendo, gli occhi non li perdono di vista. Occhi, mente e cuore sono contemporaneamente coinvolte nella relazione. La mano che impugna la biro è come la bocca: parla, sorride, si incanta… e, prima di proseguire, ascolta il cuore. Perché è sempre lui che detta.

Beppe Pavan

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