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Gastone Redetti

”Le donne e l’amore” un anno dopo

Il terzo Rapporto Hite a un anno dalla pubblicazione in Italia

Da Miopia n.2, agosto 1989

“Paradossalmente le donne cercano l’amore proprio là dove è più difficile trovarlo, secondo le loro stesse parole, per i condizionamenti cui gli uomini sono sottoposti nella nostra cultura, dato il concetto corrente di ‘virilità’. E mentre una donna dopo l’altra cerca di sbloccare il proprio uomo, per sviluppare un rapporto emotivo, scopre che fa due passi indietro ogni passo avanti”.

Shere Hite


“...fondamentalmente, sia sposate che single, la maggioranza delle donne dicono che non si sentono emotivamente soddisfatte nelle loro relazioni con gli uomini, ritrovandosi spesso frustrate, alienate, tenute a distanza e incapaci di aprirsi un varco per arrivare a un uomo che non vede cosa manchi... in questo volume vedremo qualcosa di difficile da rilevare, e cioè il terribile dissanguamento emotivo delle donne che si è verificato e continua a verificarsi nelle loro relazioni, i modi subdoli in cui le donne sono tartassate emotivamente in privato... mentre ci si aspetta ancora che forniscano amore e attenzioni”.

Naomi Weisstein


Le Donne e l’Amore, il terzo dei “Rapporti Hite” (1), affronta il centro, il nucleo profondo dell’infelicità delle donne nel rapporto con gli uomini. Infelicità, disagio emotivo ed esistenziale, regolare frustrazione nelle donne dell’universale bisogno di ricevere amore. Tutto questo è ancora, tutto sommato, un “problema senza nome”, qualcosa di cui si è parlato nulla o pochissimo, oppure molto ma in modo del tutto deformante, come nell’ottica parziale del romanzo “serio” maschile o in quella, non meno sviante, del romanzo rosa. Qualcosa che le donne sanno tuttavia bene, come si sa la delusione, l’aspettativa mancata, la confidenza dell’amica occasionale. Qualcosa di cui gli uomini sanno al contrario pochissimo, o nulla; non è affatto infrequente il caso di mariti che cadono dalle nuvole alla richiesta di divorzio da parte della moglie, o che sbalordiscono quando sentono che la moglie considera il ménage un fallimento.

Il lavoro della Hite è una straordinaria introduzione alla realtà psicologica dell’attuale rapporto tra i sessi, sviscerata specialmente nella prima parte del libro (Il contratto emotivo: vita emotiva nel matrimonio e nei rapporti sentimentali) che per incisività, efficacia, sapiente mescolanza di dati statistici e resoconti del vissuto delle donne intervistate, è un capolavoro della letteratura psicologica degli ultimi anni. Il libro provoca anche nella lettrice e nel lettore italiano un grosso impatto emotivo, nonostante le differenze culturali che ci distanziano dalla società degli USA.

Le Donne e l’Amore è un libro che reca dolore. Le donne che lo leggono, ne traggono in genere il senso di un amaro svelamento di fatti già conosciuti, già esperiti eppure raramente concettualizzati e in parte mai espressi: la miseria emozionale del matrimonio, il senso di essere sola nel coltivare il rapporto, in uno sforzo tanto meno ricambiato quanto più costante, quanto più testardo.

Una lettura dolorosa anche per i maschi, se appena tentiamo di ascoltare senza pregiudizio; impossibile non trovare, almeno in parte, anche noi stessi nel quadro generale emergente dal libro: mutismo, atteggiamento emotivamente frenante, passivo sabotaggio nella relazione emotiva, eccesso di difese spesso difficilmente distinguibile da arroganza e cattiveria.



Non sarebbe corretto attribuire al libro della Hite un valore di novità assoluta. Il tema dell’amore e dell’infelicità nel rapporto eterosessuale è stato già affrontato in altri saggi femministi, fondati su una base ristretta di dati, per quanto probanti e a volte splendidamente interpretati.(2)

Hite tenta, grazie anche all’impiego di metodi quantitativi e statistici, di individuare un modello culturale in relazione a qualcosa che è sempre sfuggito alle maglie della ricerca psicologicae che anzi per la psicologia restava trasparente.

Naomi Weisstein sottolinea, nella prefazione, come Le Donne e l’Amore sia una delle rare violazioni a un tabù moderno; il problema dell’amore e dei rapporti sentimentali (specie eterosessuali) è infatti “fuori moda” non solo in molti ambienti femministi, ma anche nelle ricerche accademiche, nonostante i notevoli precedenti di Simone de Beauvoir e Kate Millet che affrontarono l’amore come oggetto teorico. In seguito a “una strana sorta di vittorianesimo alla rovescia” dopo gli inizi degli anni Settanta “teorizzare e scrivere del sesso diventò più accettabile dello scrivere dell’amore”.(3)

Credo vada ricordato che il libro, in questo suo primo anno di pubblicazione, non sembra avere avuto un’accoglienza commisurata alla sua importanza e alla sua bellezza. L’accoglienza è stata tiepida in primo luogo nella stampa da cui ci si sarebbe aspettati una maggiore valorizzazione: per esempio sul mensile “King” (un King, bisogna precisare, ancora prima maniera, curioso del femminismo) è apparsa una recensione molto più stimolante dell’articolo pubblicato da “Noi Donne”, dove più che una presentazione del volume, si è potuto leggere una sequela di pettegolezzi sulla Hite come donna e come personaggio.

L’infelicita’ non e’ solo un fatto privato

L’autrice sottolinea che le donne intervistate hanno raramente coscienza del fatto che il loro dramma emozionale è una costante sociologica, e tendono a interpretare le proprie esperienze come un fatto personale, isolato.

Il problema è, come già detto, individuare un modello culturale “oggettivo” cioè costante, verificabile e di conseguenza anche modificabile, possibile oggetto di azione politica.

Se si esaminano i dati statistici riportati in appendice al volume, ci si rende presto conto della straordinaria uniformità delle risposte fornite dalle donne al questionario, nel senso che le intervistate hanno dato la stessa risposta alle stesse domande in una percentuale pressoché costante, indipendente dalle diverse variabili considerate quali età, razza, posizione socioculturale ecc.(4)

Come dire che l’intera popolazione femminile USA risulta attraversata da problemi che sono sostanzialmente identici in classi sociali e in contesti diversi. Sembra insomma che la “cultura” del rapporto donna-uomo sia estremamente omogenea nella società occidentale.

Parola di donna parola di uomo

La comunicazione appare come un problema cardine nel rapporto donna uomo. Le donne parlano più degli uomini, molto più di loro cercano di comunicare in qualche modo per fare andare avanti un rapporto. Le dichiarazioni femminili si susseguono simili una all’altra:

“io cerco di spingerlo ad aprirsi. Voglio parlare del nostro rapporto... ma lui tace... sono io a tirar fuori il discorso e a cavargli le parole di bocca”.(5)

“Parlo io più di lui. Sembra che io abbia più domande da fare”.

“Ho notato che in genere sono le donne ad aver il desiderio di mettere in discussione le cose”.

Anche se insoddisfatto, irritato o depresso, l’uomo non si apre:

“Capisco che qualcosa lo turba quando fa stridere i denti mentre dorme”.

In altri punti invece viene rilevata una tendenza maschile a straparlare, estesa al punto di interrompere tranquillamente, senza scrupolo alcuno, una donna che sta conversando nella compagnia in cui l’uomo si trova.

Il paradosso di un maschio che parla troppo e troppo poco allo stesso tempo affetto da una specie di avarizia della parola è del resto rilevabile già dal confronto tra diverse precedenti ricerche psicologiche “sul campo”.

Direi che i dati raccolti in Le Donne e l’Amore danno modo di spiegare ampiamente tale apparente contraddizione.

La donna risulta infatti avere (anche senza volerlo) l’esclusiva nel discorso privato, di coppia, amoroso. La donna parla di più perché sente come suo il compito di “curare” l’amore, di mantenere il contatto affettivo, di costruire. L’uomo, quando parla, lo fa solitamente in una situazione sociale diversa dalla coppia. In questi casi è facile che l’uomo “sentenzi”, e che sia comunque disposto a parlare solamente quando è certo di avere un uditorio che riconosca rispettosamente la sua “dignità”, il suo ruolo di enunciatore di importanti verità.(6)

Gli uomini hanno praticamente l’esclusiva in questo secondo genere di affabulazione, e usano spesso la parola come strumento di prevaricazione anche nei confronti degli altri maschi (pensiamo alla studiata lentezza del parlare dei politici: ogni pausa superflua, ogni prolissità inflitta all’uditorio possono essere lette come una pura e semplice ostentazione di potere). Dalle statistiche Hite risulta inoltre in modo inequivocabile che in gruppi misti i maschi si appoggiano l’uno con l’altro e fanno fatica a considerare le donne come soggetti che abbiano qualcosa da dire.

Il riserbo maschile e il litigio: uno schema tipico

Date queste premesse nelle funzioni elementari della comunicazione, dato cioè il riserbo e la quasi afasia maschile nella vita della coppia, specialmente nei momenti emotivamente complessi, si crea uno schema tipico nella vita delle coppie: la donna, insoddisfatta, cerca di parlare per migliorare il rapporto (in molti casi però non parla affatto, o lo fa velatamente perché ha paura delle reazioni aggressive del partner) e normalmente non approda a nulla e ottiene solo l’effetto di veder accrescere la propria frustrazione.

La sua agitazione si scontra contro, secondo le parole della Hite, “l’enigma della passività degli uomini quando litigano con la donna che amano”, ossia contro un muro di sordità, di ostile resistenza passiva, di apparente mancanza di reazioni dell’uomo che non sa cosa fare. Il litigio (che esplode quando viene alla luce la distanza dei due punti di vista, maschile e femminile) normalmente non modifica la struttura emotiva della coppia, non dà luogo a catarsi e lascia immutati i problemi, che si ripropongono poi periodicamente. Oltre al silenzio nella sfera privata, risulta tipico nell’uomo anche il rifiuto di ascoltare. Quello che la donna mette nel rapporto come tentativo di comunicazione, è spesso avvertito dal partner come storie, cioè inutili lamentele che non si capisce bene perché mai la donna tiri fuori. In questi casi l’uomo si comporta come se venisse operata un’indebita intromissione nella sua sfera mentale.

Gli uomini si sentono facilmente attaccati da un rilievo, e vivono come critica distruttiva anche un appunto o una richiesta avanzati in buona fede e con intenzioni costruttive. Mancano inoltre di empatia, non accettano di esser messi in questione e non fanno alcun tentativo per comprendere il punto di vista dell’altro. Mostrano spesso disprezzo verso le donne, una specie di svalutazione a priori che viene espressa con messaggi non verbali oppure con l’uso di un repertorio linguistico apertamente sessista.

La donna, nella dinamica usuale del litigio, finisce spesso con l’essere esasperata dall’arroganza e dalla sorda resistenza dell’atteggiamento maschile al punto di perdere la testa e di “fare la figura della scema”. Si trova insomma a dover rappresentare il tradizionale stereotipo della “irrazionalità femminile” di cui diventa l’ennesima conferma vivente.

Riporto qui di seguito i resoconti di alcune esperienze:

“La mamma cercava di discutere, ma mio padre non rispondeva mai, e a quel tempo era lei a fare la figura della stupida ai miei occhi”.

“Durante le liti generalmente sono io a parlare, urlare, strepitare e piangere. Lui se ne sta seduto. E’ molto freddo e incapace di esprimersi”.

“Le rimostranze maschili sono silenziose. Broncio silenzioso e disapprovazione arrogante”

“La sua espressione sembra dire ‘Perché ti comporti così? Fai una scenata? Non riesco a capire cosa ti aspetti che faccia io”.

“... alla fine io gli chiedo di dire qualcosa, e lui ‘E cosa vuoi che dica?’”

“..assume una posa classica: sta seduto immobile, ‘al di sopra di tutto’”

Così la Hite riassume l’atteggiamento maschile:

Quando l’uomo si rifiuta di discutere di qualcosa che dà molto fastidio alla donna, le nega qualsiasi appiglio: chiudendosi in se stesso col suo atteggiamento condiscendente fa una dichiarazione di principio molto chiara... in realtà intende comunicarle questo: che lei deve accettare le cose come stanno oppure andarsene.

Bisogno maschile di dominio

Diverse correnti psicologiche e psichiatriche americane hanno studiato, nell’ultimo trentennio, la patologia del rapporto di coppia, ma sempre partendo dal tacito presupposto che non vi sia alcuno squilibrio sociale di fondo come causa dei disturbi. Al massimo si vedeva nella famiglia una costellazione di personalità che solo nella loro interazione definiscono la nevrosi.

La ricerca della Hite dimostra come una tale “neutralità” sia falsamente oggettiva. Per esempio, riprendendo la questione del silenzio, del distacco emotivo, l’atteggiamento maschile sarebbe incomprensibile senza supporre che esso dipenda in buona parte da un atteggiamento di dominanza, spesso inconscio.

Da una parte c’è il fatto che la cultura impone al maschio di non aderire ai “discorsi sdolcinati”, agli atteggiamenti sentimentali e femminili. Ma a un altro livello, suggerisce Hite,

non si potrebbe forse parlare di un inconscio desiderio di mantenere un’adeguata distanza tra due non-uguali?... forse una buona comunicazione è una forma di parità con la donna a cui molti uomini non sono ancora pronti? ... molti uomini inconsciamente desiderano ribadire la propria superiorità col silenzio e con lo stile vagamente irritato che assumono quando parla una donna: così non parlare con una donna allo stesso livello è un modo, da parte dell’uomo, per dominare il rapporto, nello stesso modo in cui un datore di lavoro non mette a nudo il proprio animo con un dipendente.

Conclusioni di questo tenore, che di proposito ho riportato integralmente per evidenziarne la forma ipotetica ed estremamente prudente, hanno sollevato negli USA reazioni furibonde.

La questione del carattere inconscio del bisogno di dominio si aggancia al problema della mancanza di introspezione maschile. Le donne intervistate ritengono in genere che gli uomini siano effettivamente inconsapevoli di “quel che accade”, vedono i comportamenti maschili ma non hanno elementi sufficienti per analizzarli.

Scrive un’intervistata,

“cosa pensano gli uomini del movimento femminista? Le stesse cose che pensano di Dio e dei dieci comandamenti.... Credono di cuore nei temi più importanti... ma se si tirano fuori dei punti specifici, rispondono con un sorrisetto e desiderano che voi ritorniate a letto... e taciate!”.

Appunto: l’uomo acconsente sulle grandi dichiarazioni di eguaglianza, ma poi in mille maniere dimostra che gli è impossibile considerare di fatto la sua compagna come un essere effettivamente suo pari. Nel Rapporto Hite i modi in cui la dominanza si esplica sono descritti in modo estremamente esauriente, ma le cause non sono adeguatamente indagate. Le donne non possono sapere i pensieri dei loro muti compagni.

Separatismo e separazione

Il libro pone ripetutamente un quesito fondamentale: come è possibile per le donne continuare a vivere una situazione emotiva insostenibile? Le donne cercheranno ancora nell’uomo e nella tradizionale struttura della famiglia la fonte in cui placare bisogni impellenti o si porrà inevitabilmente un radicale mutamento nei rapporti sociali, per cui le donne cercheranno altrove (per esempio nel lavoro o nei rapporti tra donne) le istanze della cultura femminile?

Il libro della Hite, richiamando il separatismo radicale, è antiseparatista nel senso che ripropone l’esigenza di guardare in faccia alla realtà dei rapporti eterosessuali, e di non prescindere dalla loro esistenza.

Gastone Redetti

(1) Shere Hite, Le Donne e l’Amore, Rizzoli 1988. Pag.983. Lire 35.000. Il libro è stato pubblicato negli USA nel 1987, preceduto dagli altri due Rapporti Hite: il primo, un ampio studio sulla sessualità femminile, è stato pubblicato in Italia da Bompiani. Il secondo, sulla sessualità maschile (The Hite Report on Male Sexuality, New York, 1981), non è stato (sintomaticamente)tradotto nel nostro Paese.

(2) Il terzo Rapporto Hite si basa sull’elaborazione di quattromilacinquecento questionari compilati (su circa centomila complessivamente distribuiti) da donne statunitensi appartenenti a svariate classi sociali e gruppi etnici. La distribuzione dei questionari è iniziata nel 1980. Il questionario, che è riportato integralmente in appendice al volume, è molto ricco e articolato, e consta di oltre centoventi domande in gran parte “aperte”.

(3) Scrive la Weisstein: “Negli ultimi anni gli studi psicologici accademici hanno cercato di accentrarsi sulle questioni relative all’identità sessuale, ma si sono anche allontanati dallo studio dell’amore e delle relazioni, forse perché non è facile quantificarli e quindi il lavoro potrebbe essere considerato “non scientifico” dai colleghi. Studiare l’amore, in altre parole, è difficile, e potrebbe esporre facilmente a degli attacchi, come scoprì Elaine Walster-Hatfield nel 1972 quando, dopo aver ottenuto una borsa di studio statale per studiare l’amore, fu rimproverata pubblicamente dal senatore William Proxmire, secondo il quale il denaro dei contribuenti veniva sprecato in un argomento così frivolo, e il risultato fu che la borsa di studio fu revocata”.

(4) L’appendice include un’esauriente analisi statistica (nell’edizione italiana oltre cento pagine di testo). Le risposte delle donne vengono raggruppate secondo varie classi di appartenenza: età, reddito annuo, razza/etnia, livello di istruzione, occupazione/attività e sposata/single. L’uniformità della percentuale di risposte concordanti è impressionante: lo scarto percentuale tra le varie classi di appartenenza è minimo, e giustifica pienamente la conclusione espressa nello stesso Rapporto: “Dai diagrammi statistici e dalle dichiarazioni delle donne, contenuti in questo libro, appare chiaro che, per quanto riguarda le relazioni tra i sessi, variabili come ‘classe’, ‘reddito’, ‘livello d’istruzione’ e razza sono lontane dall’avere un’influenza così rilevante come l’esperienza globale dell’appartenere al sesso femminile”.

(5) Salvo diversa indicazione, le frasi riportate tra virgolette sono brani delle interviste pubblicate in Le Donne e l’Amore, nell’edizione italiana citata. Si omette di indicare il numero di pagina per non appesantire inutilmente il testo. I corsivi sono tutti redazionali.

(6) Tra i vari documenti letterari contemporanei che testimoniano le differenze culturali tra parlare femminile e maschile, presenta a mio avviso un interesse a parte il romanzo americano “I non conformisti”, centrato sulla crisi coniugale di una coppia della classe media suburbana.

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