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Gastone Redetti

Ridere non è mai neutro

Una piccola amazzone contro Benigni

Da Miopia n.22, dicembre 1994 (estratto)

Sfogliando il libello comico-pubblicitario Nutella Nutellae di Riccardo Cassini sono sbottato a ridere per dei non sensi buttati giù alla brava in lingue maccheroniche. Poiché il libello veicola contenuti del tipo: “...Dulcinea Ferrero del Bueno Sabor de la Crema de Nochola que Las Spalmas ... meglio conocida en todo el mundo como Nutella Ferrero. Don Quijote l’habia conocida en un grande magazino, Las Standas ecc.”, insomma riferimenti a una realtà politico commerciale che più che ridere dovrebbe far piangere, mi sono un po’ preoccupato. “Non sono diventato scemo - ho cercato di dirmi - c’è una comicità che funziona automaticamente, che scaturisce da schemi astratti, indipendenti dai contenuti". E mi è venuto in mente che una mia prof di lettere nei lontani anni Sessanta portava periodicamente la classe a teatro e al cinema, come attività facente parte - si direbbe oggi - della programmazione didattica (per quei tempi era una cosa piuttosto eccezionale).

Un giorno quest’insegnante ci porta a vedere un film/documentario sulla guerra spagnola del ’36 (forse era Morire a Madrid). Ad un certo punto c’è una scena di massa, ripresa dal vero: una folla sta fuggendo, probabilmente perché sta iniziando un bombardamento. Una donna, grossa di corporatura, stramazza improvvisamente a terra. La classe scoppia a ridere.

In seguito la prof torna sull’episodio. Con molto sangue freddo ci fa lezione sulla funzione del movimento, e del movimento improvviso, nella comicità filmica (le comiche mute accelerate, le celebri corse di Ridolini ecc.) per farci comprendere che avevamo riso per motivi diciamo così fisiologici.

Non so in realtà quanti/e della classe avessero riso in quell’occasione. Io non avevo riso. Non perché fossi moralmente migliore, ma perché avevo già un orientamento ideologico che, di fronte a un film di quel genere, mi predisponeva alla serietà e a un senso di partecipazione: l’idea che ci fosse da ridere neanche mi sfiorava.

Dunque quello che si pensa influisce molto su quello per cui si ride. La comicità “astratta” fa presa solo se il meccanismo comico agisce in un contesto neutro. Cioè non elaborato, inconscio.


Alcuni anni fa, durante una vacanza, siamo andati - Elena e io - a vedere Piccolo diavolo, che davano in proiezione all’aperto. Il film, come avrete forse constatato di persona, contiene robuste dosi di volgarità sessuale. Dopo un momento di delusione (il film ci era stato magnificato) e di fastidio, entrambi abbiamo fatto un’operazione mentale, uno sforzo per “passar sopra” alle volgarità sessuali. Non che la comicità di Benigni, anche se così continuamente a contatto con un brulichio di pensieri sessuali, coincida proprio con la volgarità banale e “istituzionale” della cosiddetta commedia all’italiana. Una differenza c’è, ma mi limito a nominarla perché discuterla porterebbe su un altro terreno. Si aggiunga poi che a Benigni si fa un po’ di credito perché è simpatico, perché è ricco anche di vera arguzia e di affettività e gli si vuole bene per certe uscite e gesti, come quella volta che si è fatto fotografare con in braccio Berlinguer, e si potrà forse capire perché, per una volta, abbiamo abbassato la guardia e accettato “come gli altri” quel tipo di comicità.

Le intemperanze sessuali di Benigni (ma qui parlo solo per me) mi erano apparse tutto sommato innocenti, cioè inoffensive. Le scene più elementari e fallocratiche, le mettevo come tra parentesi.

Per una volta... E proprio quella volta all’uscita c’era una bambina, ferma nell’atrio del cinematografo. Si è rivolta a Elena, che non conosceva, come se la stesse aspettando e le ha chiesto a bruciapelo: “ma a lei è piaciuto, questo film qua?”.

Elena ha compreso immediatamente la situazione e l’angoscia della bambina, e le è andata incontro facendole delle domande e rassicurandola, confortandola con la sua opinione di donna adulta.

Risultò che la bambina aveva dieci anni, era venuta al cinema con due amichetti circa coetanei. Al bambino il film, sì, era piaciuto. L’altra bambina nicchiava, non sapeva. Alla bambina che aveva parlato per prima con l’intensità di una piccola amazzone, il film non era piaciuto per niente, anzi le aveva “fatto schifo”, era sconvolta dal disgusto e dall’indignazione.

Il gruppetto di bambini era venuto al cinema da solo, senza adulti: si trattava infatti di una sala parrocchiale, un ambiente familiare e amico, e tanto più la bambina deve essersi sentita aggredita a tradimento dal film.

Quell’episodio è stato così sconvolgente, così emblematico, che qualcuno potrebbe pensare che quella bambina me la sto inventando io adesso per meglio moraleggiare. Invece quella bambina era lì realmente e quei sentimenti li ha espressi davvero: non era una proiezione della mia anima ma mi ha preso l’anima, anche se non si rivolgeva a me, ma alla donna con cui ero, la donna adulta che in quel momento lei chiamava in soccorso, a garantire la propria identità e la propria integrità psichica.

Dopo di allora ho pensato molte volte a quella bambina stupenda e appassionata, e sono diventato più attento: mi è più difficile “passar sopra” a qualsiasi volgarità sessuale, che, anche se espressa da un comico del livello di Benigni (anzi tanto più per questo) ha sempre le stesse potenzialità reazionarie e terroristiche della pornografia. Il bambino a cui il film era piaciuto, probabilmente aveva capito ben poco dei contenuti sessuali; ma aveva capito che il film gli “doveva” piacere; percepiva - credo - la struttura di potere sessuale in cui, crescendo, sarebbe entrato con tutto suo vantaggio. La bambina che nicchiava, fosse o meno turbata, si adeguava, già si adattava al suo ruolo subordinato. Ma l’altra? L’altra era ferita nel profondo, angosciata, incredula che anche “noi” potessimo avallare le porcherie che la annullavano, che aggredivano il suo corpo e minacciavano la sua identità.

Che, socialmente, le donne manifestino poca propensione per “l’umorismo”, dipende certamente dal suo carattere ancora molto patriarcaleggiante, e dalla minaccia di un’aggressività sessuale che - con la scusa della battuta - affiora spesso e a tradimento, nelle occasioni più impensate. Non stupisce che molte donne facciano resistenza all’umorismo. Ricordo che una mia parente sosteneva di non capire il senso di nessuna barzelletta (intendo le vignette con o senza didascalia); io facevo fatica a crederle e avevo il dubbio che mi prendesse in giro. Attualmente il femminismo sta - fra l’altro - liberando l’umorismo delle donne.

Gastone Redetti

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