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Silvana Rossato

Amiche di sofà

Impressioni, scambi, crescite: una donna italiana e le sue amiche nordafricane.

Da Miopia n.34, luglio 1999 (estratto)

Da un po’ di tempo frequento alcune donne nordafricane. Sono rapporti che mi danno moltissimo. Con queste donne infatti io sto proprio bene. Non mi sento giudicata, posso dire quello che voglio... mi sento libera. Mentre con le altre donne mi sento spesso in difficoltà. O, per esser più precisa: ci sono alcune amiche, poche, con cui ho una relazione positiva, ma questa relazione si è maturata negli anni, ha superato scogli, si è nutrita di libri...

In casa di queste donne nordafricane tutto invece mi viene spontaneo, non devo fingere di esser più brava di quel che sono, mi sento parlare con naturalezza, con agio. Mi sono chiesta anche: forse mi sento simile a loro perché condivido uno sradicamento di fondo, come loro anch’io in fondo non ho vere e proprie radici. II che può anche essere vero: ma allora come spiegare le difficili relazioni con donne italiane con un passato identico?

Quando sono con queste mie nuove amiche, sto bene. Una cosa singolare: più siamo, meglio sto. In questa comunità calda femminile, mi accoccolo e non andrei più a casa...

Se ci sono gli uomini la cosa non funziona. Allora si parla del tempo, soprattutto è il tono che è diverso, più formale...

Se invece siamo donne e bambini, faccio tranquillamente anche la pagliaccia, come riesco solo a scuola. Non è stato comunque un cammino sempre facile. Soprattutto all'inizio c’erano difficoltà e pregiudizi, da parte mia e forse anche da parte loro.

Ad esempio, per me era difficile accettare la loro gestione della casa, avevo delle perplessità sul loro concetto di pulizia. Invece ho scoperto che sono pulite almeno quanto noi, ma seguono schemi diversi... non sono ossessionate come noi da mettere subito ogni cosa in ordine... anche il loro modo di rapportarsi al futuro all'inizio mi inquietava. Mi sembravano imprevidenti, quasi mi scandalizzava il loro vivere nel quotidiano come bambini...

Poi mi sono resa conto, e qui mi sono anche aiutata con libri che parlavano in modo un po’ approfondito del loro paese, del clima e della cultura, che loro si portano dentro la fiducia che la natura ha sempre qualcosa da dare anche d'inverno. Al contrario di me, cresciuta in una famiglia contadina, nelle nebbie fredde della Valpadana, dove già a settembre si metteva via il grano e poi tutto il resto... mia madre ancora adesso quando piove dice consolata “per fortuna che ho il pane in casa”... l’angoscia del futuro, delle provviste, nella nostra cultura è molto forte e viene tramandata.

Questo diverso rapporto con il futuro, quella che mi sembrava quasi una colpevole imprevidenza, è stato forse l’ostacolo più difficile. Del resto anche loro si stanno adattando a questo clima... anche loro si sono modificate... E anch’io mi sono modificata: ho lasciato andare molte paure, vivo più nel presente, ho più fiducia... nelle loro case si vive con una semplicità che non è da confondere con la povertà.

Si pranza senza tovaglia, sparecchiare è cosa di pochi minuti.

Quando invece mi hanno invitato al pranzo per la festa della loro Pasqua, in cui il piano fondamentale è l'agnello, allora era preparato tutto per bene, in mode minuzioso e anche con dispendio di tempo... ma appunto la “festa” si distingue del tutto dagli altri giorni, mentre da noi ci complichiamo la vita ogni giorno, in gesti di cui abbiamo perso il senso...

Questa diversa organizzazione della casa mi fa molto riflettere, sento che mi viene un insegnamento a cambiare... accorciare i tempi, esser più essenziale... e non è da credere che siano trascurate, tutt’altro: i bambini sono sempre pulitissimi, molto badati.

Queste donne mi rendono più critica verso il conformismo occidentale. Un esempio banale e un po’ comico: i calzini dei maschi. Come è noto, mentre il calzino lungo, che necessita di complicate giarrettiere, fino a pochi anni fa era un problema dei ceti alti, adesso si è imposto per tutti gli uomini (molti dei quali astutamente si difendono usando calze sportive). Ricordo una appassionata quanto seriosa conversazione, svoltasi nel mio luogo di lavoro, che aveva per oggetto questi benedetti calzini, e in cui si finiva assurdamente quasi col dividere gli esseri umani in buoni con i calzini lunghi e in cattivi-burini con i calzini corti: in quell’occasione ho pensato con liberazione alle famiglie marocchine, benedette loro, che le calze non le portano per nulla! Donne e uomini, nessuno li porta!

Silvana Rossato

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