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Ornella Trentin

Qualcosa dimenticato sul fuoco

Scavando nell'apparente insensatezza di piccole manie

Da Miopia n.21, settembre 1994
(Illustrazione elaborata dal disegno originale)

Illustrazione di Lenka per Ornella Trentin</em>

Dopo aver chiuso a chiave la porta di casa, spesso le donne vengono afferrate dall’impressione di aver scordato qualcosa. Molte ci cascano, riaprono, rifanno il giro delle stanze, e chiudono di nuovo, ancora non del tutto persuase.

Le più temerarie si avviano ugualmente, reggendo alla sensazione di dimenticanza che resta in sottofondo, fingendo di non avvertirla.

Eppure quasi tutte dedicano al momento che precede l’uscire di casa un tempo sterminato.

Mi riferisco a quel tergiversare perlopiù femminile, che spesso fa uscire in ritardo.

Dipenderà dal sonno, la fretta, l’ansia di affrontare una nuova giornata. Di fatto ogni volta che usciamo si ripete un complicato rituale, che include un controllo assillante di rubinetti, interruttori, serrature.

Naturalmente, tranne per coloro che viaggiano di frequente per motivi professionali, la sindrome si accentua nel caso la partenza preceda un’assenza prolungata, ad esempio una vacanza.

Mi sembra che quando escono di casa, gli uomini siano più rapidi, quasi furtivi.

Compiono un numero ridotto di verifiche, controllano le tasche, l’eventuale borsa da lavoro. Uno sguardo circolare nell’ingresso è per loro sufficiente per chiudere la porta, di solito senza alcun ripensamento.

Per le donne invece, varcare la soglia di casa non sembra tanto facile, anche quando vorrebbero sbrigarsi.

Dopo aver vagabondato da una stanza all’altra, infiliamo la giacca e prendiamo la borsa, con la quale ci portiamo appresso di proposito una parte della casa. Ma ancora non ci siamo.

E’ come se un forte vento ci soffiasse lontano dalla soglia, rimandandoci indietro a controllare.

Eccoci di nuovo a circumnavigare l’intero appartamento, ispezionando per la terza volta il bagno e la cucina.

Forse tutto questo accade nel momento in cui ci accingiamo a lasciare incustoditi gli elementi, perché si riaffaccia una consegna rimasta in fondo alla memoria.

Però non ricordiamo bene, anzi non ricordiamo niente. Potrebbe essere contro questo torpore che andiamo a incespicare. Ne riemergiamo a tratti, verificando di aver preso il telecomando per uscire dal garage o le chiavi della macchina.

Innervosite dal ritardo, tuttavia indugiamo ancora.

Ovviamente poi le donne si divincolano dall’esitazione ed escono, con un vago senso di stordimento che evapora lentamente oppure si confonde con lo stress, accompagnano i figli a scuola e raggiungono i luoghi di lavoro, dove fanno i conti con altri codici ed orari.

Io credo che il via vai che precede l’uscire di casa, abbia in parte a che vedere con la custodia dell’acqua e del fuoco degli antichi insediamenti. La nostra memoria conserva l’impronta dell’attingere alle fontane e ai pozzi nel corso dei millenni, dei tragitti con le brocche dal fontanile a casa con i bambini a fianco. Ricorda i molti fuochi accesi per preparare il cibo, per cuocere il pane (che tuttora gettiamo, quando è inutilizzabile, con un rammarico ben al di là del suo valore commerciale).

Fuoco considerato sacro in alcune epoche, tanto da dedicargli templi e affidarlo alle vestali e alle sacerdotesse per non farlo spegnere.

Fuoco sacro, acqua benedetta, materie prime per l’avvio della vita quotidiana in un territorio nuovo, dopo una burrasca, alla fine di una guerra, o in un giorno come un altro.

Non è escluso che alcune di queste immagini lontane, vaganti come le galassie, talvolta ci attraversino la strada in prossimità del pianerottolo.

Il fuoco spento e i rubinetti chiusi dei nostri moderni condomini in fondo segnalano un’assenza, e questo non ci rassicura, anche se non c’è altro modo per ritrovare al nostro ritorno una casa ancora agibile al posto di uno stuolo di pompieri.

Tuttavia si potrebbe fare qualcosa di meglio che restare ipnotizzate davanti ai rubinetti. Potremmo per esempio rallegrarci di fronte al riaffiorare di simili ricordi. E’ a dir poco sorprendente l’insistenza con la quale gli elementi reclamano di essere protetti, al di là del tempo cronologico. Sta a noi trovare nel presente la capacità di mantenere il contatto con l’acqua e con il fuoco, per custodirli dovunque affinché a loro volta ci riparino.

Possiamo rifugiarci in loro dove capita, fonderci con la rugiada di un ciuffo d’erba cresciuto ai lati della strada, nelle perle d’acqua rovesciate dal fondo di un bicchiere sul tavolo di un bar, nel getto di una fontana intravista dall’auto. Sta a noi serbare la memoria tuffandoci nella freschezza dell’acqua mentre ci laviamo il viso, grate allo scrosciare della doccia che ci ritempra il corpo. Possiamo custodire il fuoco ascoltando la caffettiera che borbotta, mentre la casa si riempie dell’aroma del caffè, ma anche cogliendo una lama di sole tra due strade, il riflesso di una finestra dondolata dal vento, un tramonto fiammeggiante, rimanendo incantate davanti a un camino a casa di amici, oppure riscaldandoci al tepore del cuore.

Ciò darà ristoro alla memoria e grazia ai movimenti.

Allora potremo uscire di casa con gesti più nitidi, lasciando che l’esitazione si sciolga al calore di una comprensione profonda del nostro agire.

Nulla ci vieta oltretutto di sorriderne, se ne diventiamo maggiormente padrone, e di rendere regale il nostro passo.

Controlliamo dunque con calma la casa, chiudendola alle nostre spalle senza preoccuparci, considerando che l’impressione di “aver dimenticato qualcosa”, contiene certe volte una riserva di tesori che circondano i nostri passi disattenti, una miniera a cui non è poi così difficile accedere, quando comincia a farsi strada un po’ più di fiducia.

Ornella Trentin

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