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Augusta Baldioli

Il limbo dei negretti

Un percorso oltre l’eurocentrismo

Da Miopia n.15, dicembre 1992

 

 

Quand’ero piccola, la mia mamma – che era una brava e buona signora cattolica di cinquant’anni fa – mi faceva pregare per i “negretti”, i quali erano dei bambini ignudi color del carbone, con gli occhi rotondi e sbigottiti, riccetti fitti in testa ed una “lancia” in mano: saltellavano in una polvere gialla che era un po’ deserto e un po’ savana, emettendo urletti da scimmiotti e – se fossero disgraziatamente morti prima dell’arrivo del missionario – sarebbero tutti finiti miseramente al “limbo”, in quanto pagani.

Il Limbo era una pianura simile alle risaie del novarese che avevo visto, coperta da una nebbiolina grigia dalla quale emergevano appena i suddetti “pagani”, che a loro volta si suddividevano in negretti, piccoli pellirossa, cinesini, neonati “nostrani” morti senza battesimo, più due gemelline della mia stessa classe che di cognome facevano appunto “Pagani” e che io guardavo con molta compassione senza osare rivelar loro la sorte che le attendeva... Soltanto piu tardi avrei capito che in quella pianura sconsolata ci sarebbero state anche persone adulte che avevano dovuto vivere senza poter “incontrare la fede”.

’Sti negretti erano cannibali, tutti: passavano la vita a cercare di non farsi sbranare dalle tigri e a far bollire in grossi pentoloni i missionari ed il “duca d’ Aosta” (sic!) se l’avessero preso. Pertanto, bisognava pregare per i poveri missionari affinché sopravvivessero e continuassero a portare la lieta novella, per i buoni soldati italiani affinché vincessero tutte le battaglie con i papà dei negretti, e per i suddetti negretti affinché si convertissero e si mettessero le mutande.

Ogni tanto arrivavano a casa mia delle immaginette con la foto di un missionario sfuggito al pentolone: era tutto vestito di bianco, con una bella barba bianca, con un casco bianco sulla testa e stava seduto trionfante e benevolo fra un mucchietto di negretti addomesticati e convertiti, a loro volta scampati al Limbo. La mia famiglia non era peggiore della maggior parte delle famiglie di allora, quindi io non trovo affatto strano né incomprensibile che ancor oggi esistano persone piuttosto condizionate da quei remoti ricordi infantili, che risalgono appunto all’epoca del regime allorché si andava in Africa a conquistarci la terra al sole ed a portare “la civiltà”... Queste persone, come me a tre anni, han cominciato a credere che “bianco” sia “meglio” e sia anche sinonimo di pulito-intelligente-capace e giusto, mentre tutti coloro che son meno bianchi debbono corrispondere a sporco-scemo-pigro-sbagliato (e quindi anche drogato-lazzarone-ladro-mafioso e via diffidando).

La maggior parte di queste persone, di solito, non hanno potuto andare molto a scuola o comunque non vi hanno trovato degli insegnanti che andassero oltre a “Garibaldi fu ferito”, poi, da grandi, han ben sgobbato come asini, appunto, poverelli, ed ora han la UNO, il figlio ragioniere, la figliola “sposata bene”, la casetta con la tavernetta ed il caminetto, vanno al mare con il “soggiorno anziani” del comune, ballano il liscio al venerdì sera, guardano Iva Zanicchi in TV e non hanno il minimo sospetto che esista una realtà più vasta di quella che frequentano. Sino a poco fa molti di loro han pure votato “a sinistra”, intendendo – del socialismo – soltanto le caratteristiche più riduttive. Poi, convertiti alla nuova religione del Benessere, hanno avuto fede nella lira e nei suoi comandamenti (fondati sul presupposto dell’ognuno per sé, spietatamente).

Anch’ io, da piccola, credevo che se “noi bianchi” fossimo diventati più ricchi avremmo meglio potuto “far beneficenza” ai negretti sui quali sarebbe proporzionalmente ricaduta una parte del nostro benessere: c’è voluto l’incontro con la politica per capire le leggi dell’economia e come ogni nostro miglioramento era e sarebbe stato a loro spese. Anche a me era stato fatto credere che i diversi fossero un po’ sbagliati, un po’ ammalati, un po’ maledetti ma crescendo mi sono accorta di essere a mia volta una diversa per tutti quei tanti “normali” che trovavo nel gradino più basso della banalità …

Anch’io son frutto di questa nostra “civiltà occidentale” di cui si è appena celebrato il cinquecentesimo compleanno, ed anch’io – sino a che non ho provato a verificare e ragionare – ho creduto che gli africani nascessero schiavi e che come tali potessero essere trattati. Ma io ho avuto la fortuna di diventare comunista e quindi femminista e – oggi più che mai! – pacifista, che mi sembra il punto più alto del mio cammino, che mi consente di guardare a Bossi con umana pietà in nome di una convinta non violenza, che mi permette anche di recuperare quella spiritualità che palpitava comunque nella mia mamma cattolica di mezzo secolo fa. Mi è stato utile sentire, nel dopoguerra, una Signora che dal macellaio diceva: “Al di’ d’incoi, l’è gnanca più bel ves sciuri, parché anche i povar voran mangià la carn...”(1)

E oggi che la mia casa ed il mio cuore sono aperti a lucenti senegalesi ed a dolci arabetti marocchini, mi beo alla vista di questi “negretti” cresciuti che mi insegnano a cucinare il cuscus e il “riso al pesce”, che mi invitano nelle loro povere dignitosissime case di ragazzi operai, dai quali imparo i saluti e le preghiere islamiche, che mi commuovono ogni volta che esclamano “C’è Dio!” e mi rallegrano di sorrisoni accecanti, facendomi sentire anche contentissima di vedermi attorno dei giovani uomini sani e “belli” senza bisogno di lampade, palestre ed abiti firmati!

La mia mamma, se fosse qui, verrebbe anche lei a “Nonsoloaiuto” a lavorare con me, con le mie amiche dell’UDI, con gli amici cattolici e protestanti assieme a Kabir, Maar, Silla, Baia Lo e Mustafà, divertendosi a ritrovare in sé sia quell’allegro senso dell’umorismo che ogni tanto le scappava fuori, sia la poesia e la dolcezza di donna “credente”. Oh accidenti, è anche per la mia mamma che io oggi abbraccio Kanjade e Mohamed, cucinando loro le buone vecchie miecie (2) della mia infanzia, ed è anche con la mia mamma che - guardando i miei amici neri - mi capita di pensare come diceva lei “quand s’è bej, s’è bej!” e “l’è cume vega un bel cavai cal cur” (3). E quando mi capita di imbattermi nei piccoli “razzismi” dei poverelli rimasti ad un mondo senza poesia e senza domani, penso siano proprio loro oggi a trovarsi ancora lì in quel fumosissimo noiosissimo “limbo” dal quale i miei “negretti” son invece balzati fuori!

Augusta Baldioli

1) “Al giorno d’ oggi, non è nemmeno più bello esser ricchi, perché anche i poveri vogliono mangiar la carne”.
2) “Crespelle”, frittatine povere.
3) “Quando si è belli, si è belli”, ed “è come vedere un bel cavallo in corsa”.

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