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Elena Fogarolo

Il sesso dell’ecumenismo

Da Miopia n.31, marzo 1998, numero monotematico Il dio, la dea


Bambine interpretano la profetessa
Anna e le sue alunne in una recita
parrocchiale (Padova, 1959)
(Foto di copertina di Miopia n.31)

Quand’ero bambina, io e mio fratello ci divertivamo a leggere la rubrica della posta sulla rivista Famiglia Cristiana. Ci segnalavamo a vicenda, ridendo come matti, tutte le lettere (e le relative risposte) che discutevano, dal punto di vista della moralità, l’abbigliamento e il trucco femminili. Mio fratello aveva persino compilato una graduatoria degli argomenti più dibattuti. Ricordo che ai primi posti figuravano due questioni: quella dei pantaloni femminili, e quella del rossetto sulle labbra.

Gli autori di quelle lettere, che fossero preti o laici, uomini o donne, sembravano sempre animati da un altissimo pathos, nell’estenuante ricerca del confine tra lecito e illecito, nell’esame di fitte casistiche, nella definizione di che cosa può turbare e che cosa no. Le questioni non risultavano mai del tutto chiuse perché, proprio quando un tema sembrava esaurito, ecco arrivava una nuova lettera che ridava fuoco al dibattito.

Noi oggi ci scandalizziamo, giustamente, per le imposizioni cui sono soggette le donne di Kabul, che si esplicano anche in prescrizioni vestiarie dettagliate, minute, come quella che vieta alle donne di indossare calzini di cotone bianco, giudicati provocanti e anticoranici dai talebani.

Ma in Italia, negli anni in cui si svolgeva quell’interminabile dibattito sul vestiario femminile, il clima era poi tanto diverso?

Certo, mio fratello ed io potevamo riderci sopra: dopotutto vivevamo già in una democrazia abbastanza laica, e la persecuzione fisica delle donne da parte dell’autorità religiosa era finita da molto tempo, almeno per quel che ne potevamo vedere e sapere noi.

Quando abbiamo proposto un numero sulla religione al femminile, alcune nostre amiche sono state molto perplesse. Le donne hanno infatti molto spesso alle spalle un rapporto tormentato con la religione cattolica e con i suoi rappresentanti. Se poi si risale al vissuto delle madri e delle nonne, è facile imbattersi nella memoria di patimenti terribili, di vere e proprie atrocità morali e fisiche. Con sfumature diverse, questo disagio viene espresso in alcuni degli interventi pubblicati in questo numero di Miopia.

L’obiezione maggiore che ci è stata posta dalle amiche perplesse si può sintetizzare così: “se ci siamo appena liberate dalla religione che ci opprimeva, perché andar a pescare altre forme, altre religioni che, in quanto tali, non possono essere che oppressive?”. E’ un’obiezione che mi ero già sentita porre, in varie formulazioni, da donne di sinistra che trovavano molto singolare e discutibile il mio interesse per le religioni.

Il fatto è che le nostre amiche non hanno torto: se togliamo alle religioni monoteistiche la loro funzione di controllo delle donne, il disprezzo e le invettive contro le donne, resta davvero qualcosa? Perché mai l’autorità ecclesiastica cattolica si oppone in modo così irrazionale e ostinato al ministero delle donne, se non perché la gerarchia ecclesiastica proprio si fonda - nella sua forma attuale - su questa esclusione? In questi anni, dopo il Concilio Vaticano II, molto è stato detto e fatto in direzione di un discorso ecumenico, che vada oltre la separazione tra le diverse Chiese cristiane e anche oltre le diverse confessioni monoteistiche. Ma è un’ecumenismo di segno nettamente maschile, che va in crisi ogni volta che in altri Paesi c’è un’apertura al sacerdozio femminile: l’autorità cattolica, in questi casi, si irrigidisce e minaccia irreversibili rotture.

Noi non crediamo che la religione si esaurisca nelle componenti negative e misogine accennate sopra. Nello stesso tempo crediamo però che la religione diventerà (sta già diventando) qualcosa di completamente altro. L’ecumenismo femminile, che non si misura dalla sovrapposizione di credenze ma dalla condivisione della carità, è già in atto.

Elena Fogarolo

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