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Elena Fogarolo

Le sessantottine: un ateismo di andata e ritorno

Da Miopia n.31, marzo 1998, numero monotematico Il dio, la dea


Eravamo tutti atei e atee, nel Sessantotto. Anche se venivano tollerati i gruppi cattolici, purché non stessero a parlare di religione ma di lotta di classe.

Quel che era proprio proibito, tabuizzato, quasi perseguitato, era l’interesse per la religione “gratuito”, non dovuto cioè al fatto di essere dei poveretti o delle poverette nati nel cattolicesimo e incapaci di uscirne perché la mamma ne avrebbe troppo sofferto.

Per quanto riguarda le ragazze: non è che fossimo diventate atee tutt’ad un tratto. Erano anni che eravamo in crisi con la Chiesa, non andavamo più a messa, indugiavamo sui libri di filosofia, parlavamo di sant’Agostino e dei fratelli Karamazov con l’amico del cuore. Però, prima del Sessantotto, non ci dicevamo atee. E non dicevamo bestemmie né parolacce (bestemmie vere e proprie ne abbiamo dette poche anche nel Sessantotto, noi ragazze).

Pure, l’atmosfera sessantottina del “dentro o fuori” ci portò anche ad una semplificazione e ad un imbarbarimento del linguaggio. Fu così che diventammo, anche noi ragazze, “atee”.

Che cos’era questo nostro ateismo? Quello dei maschi, si fa presto a coglierlo: disprezzare non solo la religione ma anche l’arte, disprezzare ogni sottigliezza compresa la democrazia, rinnegare virtù come la compassione e la tolleranza.

Anche in noi ragazze c’era tutto questo, ma in dosi diluite. Però sufficienti perché anche i discorsi cambiassero. E le discussioni che sono la felicità della giovinezza, chi siamo da dove veniamo dove andiamo, quel far notte a parlare di film di libri di crisi... ecco, quello io non ricordo che sopravvivesse. Non solo non si poteva più parlare di certi argomenti, ma, anche nei momenti di ozio, venivi redarguita se ti trovavano a leggere filosofia (solo Marx era ammesso ).

Non finiva di sorprendermi il fatto che i censori rivoluzionari non fossero mai impegnati in qualche sacra missione. Erano a zonzo, andavano al bar, facevano quel che volevano... perché io non potevo leggere filosofia? Mi stupivo: non avevo mai fatto l’esperienza della dittatura.

Il Sessantotto con le sue varie code passò e noi diventammo più vecchi e più vecchie.

Ritornai ai miei diletti studi senza che nessuno più mi minacciasse in nome del proletariato, e mi sorprese constatare, e ciò capitò abbastanza presto, che la maggioranza delle ragazze di mia conoscenza che avevano, nel Sessantotto e dintorni, condiviso coi maschi quell’ideologia grezza che si può anche chiamare ateismo, si erano rivolte, ognuna a suo modo, alla religione.

Non ho presente alcuna che sia ritornata alla Chiesa cattolica. All’inizio fu una riscoperta dell’antropologia o un assaggio di qualche religione esotica.

Partecipavano, le ex ragazze, a corsi dove si imparava a far cesti o a tessere, organizzati in dislocatissime case coloniche. Andavano in vacanza in luoghi silenziosi. Leggevano libri sull’India, scoprivano la medicina alternativa; diventavano vegetariane.

All’inizio, c’era molto da ridere. Ma più le ragazze diventavano ex ragazze, più gli aspetti folcloristici svanivano, e rimaneva una sostanza, una pratica, di cui non avevano neanche tanta voglia di parlare. Intanto Luce Irigaray provocava un piccolo ma significativo incendio con le sue donne divine e la religione entrava anche nei luoghi della sinistra dove l’emancipazionismo aveva stretto più lungamente le donne in una visione ateistica della vita.

E poi insomma fu innegabile: le ex sessantottine erano tornate nel solco delle madri, erano religiose. E lo sono ancora. Non hanno bisogno di andare in chiesa, anche se a volte si possono sentire isolate; non ricercano dogmi; sono curiose e spregiudicate, per cui vanno - almeno per verificare - ora dalla pranoterapeuta ora dalla cartomante. Conoscono gli studi femminili sulla patriarcalizzazione della religione; vanno al di là di dio padre. E così sia!

Elena Fogarolo

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