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Elena Fogarolo

Care cugine mammifere

Da Miopia n.33, febbraio 1999, numero monotematico ETEROSESSUALITÀ TRA CRISI DEL PATRIARCATO E LIBERTÀ FEMMINILE

 

Anni fa, all’inizio della nostra vita di neo-campagnoli, comprammo una coppia di conigli.

Questi conigli si rivelarono poi due coniglie. Nello stanzino rustico dove le avevamo messe a passar la notte, si erano fatte, su angoli opposti, ognuna una specie di nido. Di giorno pazziavano sul prato apparentemente dimentiche di quel problema del nido vuoto, ma la sera cercavano di risolverlo accoppiandosi a vicenda come se una delle due - a turni alterni - fosse un maschio. Sorprendendo per caso l’evento, ne fui molto scossa: ma come facevano a “sapere” quello che facevano i maschi, se maschi non erano e non ne avevano nemmeno mai veduto uno?

Dopo i conigli, passammo ai gatti. E poi alle gatte. Forti dell’esperienza con la prima gatta, sfinita da troppi parti e che subì un incidente mortale cui a nostro avviso non era stato estraneo il suo fisico indebolito, con la seconda gatta decidemmo di ricorrere alla sterilizzazione.

Ma capimmo abbastanza presto di averla privata di un elemento equilibratore: prima, nel periodo degli amori, mischiandosi ai suoi simili, la gatta diventava più selvatica, più indipendente, meno paurosa. Anche questa morì tragicamente; e se per la prima avevamo ipotizzato una concausa rappresentata dalla debilitazione per troppe gravidanze, per la seconda pensammo che, castrandola, le avevamo ridotto l’istinto di sopravvivenza.

Dopo di questa arrivò una terza gattina. Che dopo qualche mese manifestò già di essere in calore e sparì per i soliti due o tre giorni di gozzoviglie.

Ed ecco il problema: gozzoviglia e gozzoviglia, la gatta non restava incinta! E se ne lamentava con tutto il fiato che aveva, suscitando l’interesse di tutti: “ma che ha?” e a sentire la storia manifestavano, in particolare se donne, una grande simpatia: “poverina!”.

La gatta sterile piangeva peggio delle donne bibliche senza figli. Passavano i giorni, aumentava il numero delle persone che l’avevano vivamente compatita, e noi si cominciava a chiederci seriamente “ma che si fa? Mica si può lasciarla così” e poi finalmente la gatta si placò: il miracolo era avvenuto! Il suo ventre era fecondo! Alleluia!

Certo, alleluja. Ma forse le donne non avvertono anch’esse qualcosa di simile a quella gattina tanto compatita, dopo aver avuto rapporti sessuali? Le mestruazioni sono in ritardo, i seni sono gonfi e dolenti, a volte la testa “tira”... Come si fa a pensare che lo sperma entri nel corpo di una donna e sia come una iniezione di acqua sterile? Anche usando il miglior contraccettivo possibile, farmaci o aggeggi tipo IUD, vasectomie del maschio o legamenti delle proprie tube, una donna non può impedire al suo corpo di prepararsi al concepimento.

Quando udivo le persone compatire la gattina sterile mi chiedevo perché non avessi mai udito tale senso di tenerezza, di compassione, di partecipazione, verso le donne che usano o non usano anticoncezionali. Verso insomma quella cosa problematica, misteriosa, tremenda, che è la sessualità femminile.

Sarebbe meglio che lo sperma non entrasse nel corpo femminile se la donna non vuole restare incinta? Creerebbe meno disordine ormonale, ci sarebbero meno turbamenti, minori modificazioni?

O magari sono solo io, distrattissima, che non ho mai sentito parlare di questo?

E.F.

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