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Maria Jazurlo

Amore senza età

Da Miopia n.30, settembre 1997, numero monotematico IL TEMPO DI ECATE

Ogni due o tre anni esce un’inchiesta sulla sessualità degli anziani. I giornali riprendono la notizia, la fanno commentare dagli esperti, e poi sull’argomento cala il silenzio.

Il tono con cui viene trattato è quello dell’antropologo (distratto) che va presso la tribù primitiva e ne descrive gli usi e costumi: cose d’altri luoghi, altri tempi. Noi che siamo anziani, buttiamo un occhio curioso sui dati e le interpretazioni, più che altro per rispondere alla domanda “chissà che cosa faranno quelli della mia età?”.

Dalle inchieste non viene fuori granché: gente che si innamora a settanta, ottant’anni, ce n’è sempre stata. Mosche bianche. Beati loro. Per il resto si vive in dignitosa (più o meno) solitudine. Soprattutto se si è donne: per ogni vedovo ci sono otto vedove sopravvissute ai coniugi defunti, e queste che devono fare? Qualche anno fa, pensandoci, mi veniva in mente un consiglio della Bibbia a quella vedova che di notte veniva assalita da voglie sessuali; per farsele passare si deve rovesciare per terra le monetine contenute in un vaso e raccoglierle tutte, una per una. Ma a quei tempi la vita era breve, e si restava vedova a quarant’anni. Ora è altra età, altri desideri. Non molto tempo fa un’ennesima inchiesta sull’amore anziano è stata motivata da due lettere scritte a Famiglia Cristiana.

Una di queste era di una sessantenne che si lamentava della freddezza del marito. Il quale, in verità, anche in passato non era stato molto espansivo; si accostava per “esigenze biologiche”, le soddisfaceva, e chiuso lì. Momenti che lei, tuttavia viveva “con gioia” e che purtroppo erano rarissimi. Ma la signora desiderava una carezza, un bacio, un poco di calore affettivo: possibile che la componente corporea non conti più, in vecchiaia?

L’altra lettera era di un uomo, il quale invece dichiarava di amare la propria moglie con lo stesso slancio dei tempi andati, e avrebbe voluto dimostrarglielo anche concretamente, ma le energie gli erano calate. E allora si chiedeva se non fosse lecito “aiutarsi” con qualcosa di extra rispetto all’atto puro e semplice.

Il padre sacerdote rispondeva alla sessantenne che purtroppo suo marito era affetto da un certo analfabetismo sentimentale: non conosceva la tenerezza, e non era questione di età.

All’altro, il sacerdote consigliava di confidarsi al proprio confessore: solo un colloquio personale può chiarire certe questioni. Ma la sua idea era che la comunicazione sessuale è fatta di più voci, e va armonizzata come un’orchestra: con gli anni il timbro cambia, ma il suono può essere ugualmente armonioso. L’argomento era stato subito ripreso da due quotidiani, e poi da alcuni settimanali femminili. Aveva fatto effetto che il sacerdote parlasse di inopportuna “vergogna” dei corpi anziani (diversa dal “pudore”) determinata dall’invadenza delle immagini dei corpi giovani e bellissimi che domina nei mass media. Perché non valorizzare la sessualità degli anziani anche se i loro corpi non sono più splendenti? Alle donne soprattutto viene imposta una stagione così breve di desiderabilità che è dura non “vergognarsi” di una nudità poco fiorente. Eppure è una vergogna che viene presto superata se scocca la scintilla dell’amore. Un’inchiesta condotta per Repubblica su un campione di 813 donne e uomini tra i 60 e i 75 anni che hanno iniziato un rapporto da qualche anno, rivela che il 31% delle coppie si sono incontrati in un centro anziani. Il 31% al parco. Il 18% in quartiere e l’8% in parrocchia. Tutto questo sta a dimostrare che, finché c’è vita, la speranza di amare e di essere amati persiste come aspirazione a quello “stare insieme” che colma l’esistenza a venti come a settant’anni.

Maria Jazurlo

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