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Adriana Sbrogiò, Marisa Trevisan, Carla Turola

Una pratica d’amore per “Via Dogana”

Da Miopia n.38, settembre 2001, numero monotematico CUORI DI CARTA

Ringraziamo Elena Fogarolo che ci ha chiesto di scrivere sulla pratica politica di discussione e diffusione di Via Dogana che, da tanti anni, parecchie donne (anche alcuni uomini) dell’Associazione Culturale “Identità e Differenza” di Spinea, svolgono nell’ambito della loro ricerca culturale e politica. Una pratica, circa 70 incontri denominati “sull’Onda di Via Dogana”, iniziata nel 1992 presso la biblioteca comunale di Spinea, per discutere intorno ai temi proposti dalla rivista. Inoltre, nel nostro territorio, da quegli incontri è emersa la politica delle donne che ha dato vita a quei luoghi accanto (1)  dai quali si è potuto guardare con maggior attenzione, criticità e interesse la politica maschile tradizionale.


Una pratica iniziata da Adriana, che così racconta:

Copertina della rivista Via Dogana n.100
Via Dogana n.100
La copertina
(Link da libreriadelledonne.it)

Sono andata a rivisitare il mio rapporto con la rivista.

Ho conosciuto VIA DOGANA nel mese di ottobre del 1991, era appena uscito il secondo numero. Me l’ha proposta Alessandra De Perini, una donna dell’allora “Rete della differenza” di Mestre che, con la sua passione e il suo modo di parlare di donne alle donne, ha mostrato e trasmesso a me e a tante altre la sua passione per l’amore femminile e la politica delle donne.

Avevo iniziato a frequentare le donne della “Rete della differenza” a Mestre perché ero stata attratta da una loro locandina con la quale invitavano, chi fosse interessata, alla discussione del libro di Luisa Muraro L’ordine Simbolico della Madre (2) . In occasione di quegli incontri acquistai anche il primo numero della rivista e al terzo mi innamorai, soprattutto di alcuni particolari articoli che proposi alla discussione alle donne dell’Associazione “Identità e Differenza” che s’incontravano periodicamente in biblioteca comunale.

Ricordo che, inizialmente, fotocopiavo gli articoli che ritenevo più interessanti e li offrivo a quelle donne e a quegli uomini che, a mio parere, potevano a loro volta ritenerli interessanti.

Ben presto mi sono accorta che, se credevo così importante che Via Dogana continuasse ad esistere, avrei dovuto anche preoccuparmi, per quanto fosse stato nelle mie possibilità, della sua continuità e mantenimento, quindi anche del suo costo economico.

Mi impegnai, aiutata da altre, ad acquistare un congruo numero di copie per ogni uscita e poi rivenderle.

Per tutti questi anni, con più o meno entusiasmo a seconda dei momenti che stavo vivendo, ho considerato un tratto del mio lavoro far circolare Via Dogana e, in parte, me ne sono sentita anche responsabile. Spesso ho atteso il nuovo numero con trepidazione, desiderando e sperando che mi piacesse quello che trovavo scritto per poterlo offrire con soddisfazione e con garanzia alle persone alle quali decidevo di darlo.

Infatti, il criterio principale per poter diffondere con entusiasmo Via Dogana è stato quello che la rivista doveva piacermi. E per piacermi dovevo e devo sentire, percepire e capire che almeno una parte dei contenuti che trovo al suo interno, mi rispondono, mi stimolano, esprimono dei pensieri e del vero che sento anche miei.

Ho individuato anche alcuni dei motivi, che s’incontrano con il mio desiderio e il mio progetto, per i quali ritengo che valga la pena restare interessata e diffondere Via Dogana.

Un motivo è che la rivista mi aiuta, e aiuta anche molte altre donne, a diventare consapevoli della differenza sessuale e di come tale consapevolezza, seguita dalla relativa pratica, sia fondamentale per costruire la pace tra donne e uomini e nel mondo. Ho voluto e voglio che il sapere della differenza sessuale si diffonda, circoli il più possibile, che donne e uomini prendano coscienza non solo delle loro diversità, ma soprattutto della loro irriducibilità a causa della differenza prima che li contraddistingue, sia nel modo di percepire l’essere che sul piano culturale e storico.

C’è anche una motivazione di pratica affettiva: penso di dare un aiuto, una mano e di far piacere alle donne che hanno inventato e dato vita alla rivista e che vogliono mantenerla. Mi fa sentire insieme. E’ questo il mio modo di mostrare gratitudine per la loro opera: restituire e scambiare praticamente.

So di proporre, quasi sempre, qualcosa di nuovo, insolito e non banale e soprattutto un modo di pensare anticipatorio rispetto ai contenuti che circolano e un’interpretazione originale degli eventi. Sono riuscita a far leggere e a scambiare anche con persone che avevano un’immagine stereotipata del femminile ed erano pronte a banalizzare le donne, nonostante la dichiarata e riconosciuta (dal sapere tradizionale) apertura culturale.

Come già accennato sopra, inizialmente, per diffondere la rivista, ho usato soprattutto un metodo individualizzato. Facevo notare a ogni donna o uomo, in base a come li conoscevo, prima di tutto l’articolo che, secondo me, poteva immediatamente interessarla/o.

Successivamente, senza abbandonare questa modalità così utile a livello individuale anche come inizio per un rapporto di scambio comunicativo, ho proposto la rivista a gruppi misti di ricerca e a gruppi di donne dei territori vicini, a qualche associazione e cooperativa che vedevo interessate ad un discorso culturale nuovo riguardo alla libertà, alla autorità e all’amore femminile.

In queste azioni non sono mai stata sola, anzi, sono sempre stata sostenuta da Marisa, un’amica con la quale vivo da tanti anni una relazione profonda di comunicazione e di scambio e anche da altre donne dell’associazione “Identità e Differenza”. Riconosciamo che la rivista è uno strumento dal quale si può trarre forza e autorizzazione per dimostrare che sono tante le donne (e anche alcuni uomini) che agiscono consapevoli della differenza tra i sessi.

Ma ci sono anche donne che lamentano che parecchi articoli non sono di facile comprensione, mentre la maggior parte degli uomini li ritengono provocatori. Così il lavoro di mediazione è sempre aperto.

Normalmente su Via Dogana la differenza sessuale emerge senza troppi equivoci, soprattutto perché si coglie immediatamente quell’originalità del pensiero femminile che dà il senso del partire da sé alla politica delle donne, quella del simbolico femminile. Ma è un modo ancora poco comune di pensare e di comunicare, che richiede attenzione, e quindi anche un po’ di fatica, a chi legge. Penso anche, però, che alcune/i dicono di non capire tanti articoli di Via Dogana perché, in realtà, intendono giustificare la loro voglia di lasciar perdere, in quanto si sentono provocate/i alla riflessione e qualche volta anche messe/i in discussione.

Comunque, anche se non ritengo di poca importanza la quantità di copie che vengono distribuite, perché è necessario che Via Dogana si mantenga economicamente per darsi continuità, tuttavia non la svendo, né la impongo. So che, se lo volessi, potrei vendere delle copie in più, ma temo che qualcuna/o la possa prendere soltanto per far piacere a me e che, di fatto, la rivista non interessi più di tanto. Così non la propongo indiscriminatamente. Qualche volta ritengo opportuno acquistarla personalmente per poi donarla, al posto magari di qualche oggetto che mi sembra superfluo.

Una pratica condivisa da Marisa per dare senso e corpo all’amore femminile nella città

“Sull’Onda di Via dogana” è un luogo voluto, creato da Adriana e da me, sostenuto dal nostro amore per la ricerca e dalla presenza di molte donne che hanno partecipato con i racconti delle esperienze vissute, con gli scritti e con le riflessioni. Oltre che aver sempre rappresentato un luogo di autoformazione, ha permesso la sperimentazione della relazione duale di scambio fra donne che desiderano stare in questo mondo con la consapevolezza che proviene dall’agire ciascuna il proprio desiderio profondo di amore e di pace. E’ sempre stato un laboratorio aperto alla partecipazione di donne animate dal desiderio di dare senso nuovo alla propria vita e al proprio agire, proprio a partire dall’essere donna.

Abbiamo, in realtà, potuto verificare che la relazione originale come pratica politica femminile che si instaura tra due donne, può diventare un spazio sicuro per chi ha voglia di aprirsi, di dirsi con autenticità alle altre, agli altri, a partire da sé. Uno spazio dove ci si sente sostenute nell’accettare la propria fragilità nell’esporsi e poi aiutate a cogliere, come beneficio, l’aumento della consapevolezza del proprio modo di essere e di muoversi nel mondo.

Dagli incontri di “sull’Onda di Via Dogana” sono partite moltissime iniziative che hanno coinvolto altre realtà di donne in altre città e territori.

Abbiamo costruito luoghi in cui molte donne hanno potuto proporre, a loro volta, la propria creatività nell’ambito della scrittura, della poesia, del teatro, della pittura, della lettura come “prestare la voce”, dare voce a.…, ecc. Inoltre sono state occasioni per affinare il linguaggio, per sperimentare un uso più libero del linguaggio sessuato, per rendere conto di quest’uso nei luoghi in cui il linguaggio neutro oppone resistenza all’affermarsi della parola della differenza sessuale.

Qualche volta, in questi luoghi di donne, creati da donne, è stato possibile dare visibilità e vivere le relazioni con e tra donne impegnate nella politica per il governo della città e quindi risignificare la politica ricercando i nessi e le distinzioni tra il fare politica e l’amministrare.

Un desiderio, una passione, un’originalità propria sono state riconosciute peculiari alla politica dell’essere donna, politica assolutamente non assimilabile a quella maschile.

Anche se attualmente i vari incontri in biblioteca comunale prendono altri titoli, sullo sfondo, resta sempre “Sull’Onda di Via Dogana”, come luogo ricerca dove nascono relazioni di scambio e dove si progettano nuove possibilità di incontri a volte, finora, impensati.

Una pratica di Carla per far circolare Autorità e Simbolico femminile

L’aspetto più importante degli incontri in biblioteca, per quanto riguarda la libertà femminile, è quello di dare autorità all’esperienza delle donne. Il lavoro di ricerca riguarda il linguaggio per dire questa esperienza, in modo da farne risaltare il valore e la grandezza e darle così autorità.

In questi nove anni si è sviluppata e articolata la relazione con la rivista.

La pratica è stata quella di leggere insieme e commentare gli articoli che di volta in volta venivano scelti, facendoli incrociare con l’esperienza personale di ciascuna.

Sappiamo bene come è difficile “trovare le parole giuste” per parlare della nostra esperienza e dei nostri desideri, così irriducibili al simbolico dominante. Le parole ci sembrano spesso insufficienti o ambigue, anche quando si tratta semplicemente di raccontare. Avere uno strumento accanto a noi come Via Dogana è stato ed è irrinunciabile. Sappiamo, da quelle pagine, che altre donne, come noi, fanno ricerca e quindi possiamo ritenere che la rivista sia una fonte alla quale attingere sollecitazioni e soluzioni creative.

Solo alcune però hanno capito, e prima di tutte, Adriana, che questa fonte, per vivere e far vivere, ha bisogno di essere continuamente rigenerata. In altre parole, c’è bisogno di scambio. Una rivista come Via Dogana, che intende fare simbolico femminile, ha senso solo in un’attività di scambio.

Il nome che abbiamo dato ai nostri cicli di incontri “Sull’onda di Via Dogana” è diventato anche un’assunzione di responsabilità. Per questo i nostri incontri sono stati sempre pubblici e aperti, a donne e uomini, per dare circolazione al nostro simbolico. Inoltre ci siamo sempre rese disponibili a restituire alla rivista ciò che è nelle nostre possibilità per renderla una “fonte di energia simbolica rinnovabile”, sia diffondendola che interagendo direttamente con lettere e articoli.

Ci sono state in passato e, in parte ci sono ancora, nelle relazioni tra donne, alcune difficoltà di comunicazione. Una di queste, che può ostacolare la costruzione di un simbolico efficace, è il cadere nel rispecchiamento reciproco. Questo impedisce la giusta distanza tra noi, necessaria alla mediazione simbolica e si rischia di giocare la relazione solo o troppo sul registro delle emozioni. E le emozioni, come si sa, spesso “lasciano senza parole”, almeno fino a quando non s’impara a governarle.

Avere con noi Via Dogana, ha permesso di lasciare questo spazio tra noi. Tra noi abbiamo messo il testo di un’altra, consapevoli e grate che l’altra, la terza tra noi, ci ha dato non se stessa, ma un suo testo, lasciandoci libere di farne un ponte o una barriera, comunque un rimedio contro il pericolo di fare con-fusione.

Attraverso il lavoro di lettura e discussione degli articoli abbiamo anche potuto procedere nella pratica della disparità. In primo luogo perché nella scelta degli articoli si affermavano desideri di differente intensità, capacità di attenzione e volontà diseguali. E nella lettura e nei commenti veniva attribuita differente autorità alle varie autrici.

Si è così affinata la nostra pratica di far circolare l’autorità che, a differenza del potere che si impone, per agire deve essere riconosciuta senza essere imposta. Attraverso lo stare in relazione, ci si può avvantaggiare del di più che le altre mettono a disposizione.

Abbiamo notato spesso che i temi trattati da Via Dogana erano gli stessi che stavamo trattando nella nostra ricerca, con una apparentemente misteriosa sintonia. Non pensiamo che questo sia casuale ma che, piuttosto, questo fenomeno sia da attribuirsi al lavoro che fa il simbolico quando ha circolazione. Anche su questo aspetto ci sono differenze e disparità. Abbiamo affinato una percettibilità particolare nel sentire se un argomento o un articolo sono veramente sintonizzati con la domanda di simbolico che in quel momento sta insistendo, o se invece si tratta di contributi a “basso contenuto interattivo”.

Questo sentire serve, anche tra noi, a riconoscere autorità alla “competenza simbolica” quando questa si manifesti nei nostri dialoghi.

Adriana Sbrogiò, Marisa Trevisan, Carla Turola

1) Graziella Borsatti – Sindaca di Ostiglia – Asolo 1997.

2) Il libro che diede una grande svolta alla mia vita per la consapevolezza dell’amore materno che ne ho ricavato e poi riprogettato nel mio modo di vivere.

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