torna a ....

Ornella Trentin

L’inconscio a tracolla

Miti e misteri della borsa femminile

Da Miopia n.16, marzo 1993

Il disordine che regna nella borsa di una donna è quasi leggendario. O forse nasconde davvero una leggenda? In genere si sottolinea con ironia questa specie di calamità. E se per distrazione gli altri trascurano di farlo, la proprietaria della borsa si precipita a “costituirsi”, scusandosi come di un delitto per l’uso di uno spazio di cui in fondo può fare quello che le pare!

Forse ciò accade perché spesso si tratta dell’unica zona “non organizzata” che una donna si concede. Infatti, pur continuando a scusarsi appena vi cerca qualcosa, essa non smette di affastellare gli oggetti più incongrui nella borsa, non di rado contro la sua stessa volontà.

C’è qualcosa che va per conto suo, ed è questa bizzarra ribellione degli oggetti che m’incuriosisce, il ripetersi di un piccolo atto di indipendenza che si svolge sotto i nostri occhi, al di là delle intenzioni.

A giorni alterni anch’io rovescio tutto l’armamentario sopra il tavolo, sopraffatta dall’eccesso, e tolgo di mezzo un po’ di arnesi. Ma “l’ordine,” un non so che di astratto, stabilito non si sa quando e dove, dura appena qualche ora, l’indomani là dentro c’è già di nuovo il caos.

Quando si apre la borsa, si dischiude un luogo familiare ma instabile, pervaso dall’animazione di un cantiere dove i lavori sono sempre in corso.

Ogni borsa trasporta in segreto il suo catalogo incoerente di aggeggi. Nella mia, qualche ritaglio di giornale e la bolletta del telefono, un quaderno e la antizanzare, numerosi occhiali e fazzoletti, banconote sparpagliate e un rossetto, il biglietto di un cinema, penne, profumo, manciate di scontrini.

Ma la collezione cambia di continuo a seconda della stagione e di chi la porta in giro. La borsa va tenuta d’occhio. Smarrirla implica molteplici fastidi, ma perdere ad esempio i propri documenti è qualcosa di più che costringersi al supplizio di recuperarli, c’è in ballo la perdita della propria identità.

Il “valore affettivo” riferito agli oggetti personali, tollerato a stento se sono quelli altrui, nasconde forse un collegamento non irrilevante con zone sconosciute della nostra psiche.

I minuziosi rituali che circondano il semplice trasporto del mazzo di chiavi che ci consentirà di rientrare in casa, e di qualche altro oggetto che riteniamo utile portare con noi per stare a nostro agio durante la giornata, fa pensare che ci sia dietro qualcosa di complesso.

La fantasia collettiva oltre tutto, estende quasi all’infinito la ricchezza dei segnali provenienti dall’universo in miniatura che una borsa femminile rappresenta: borse enormi o microscopiche, dalle forme strane confezionate con i materiali più vari, zaini colorati, sacche, borse rigorosamente chiuse, o al contrario prive di bottoni, tenute sotto un vigile controllo, anche quando sono appese allo schienale della sedia che occupiamo al ristorante; borse nascoste sotto chiave o addirittura portate ovunque con sé nell’ambiente di lavoro, aperte con circospezione o totale noncuranza, comunque mai troppo lontane.

Nel gesto frequentissimo di cercarvi qualche cosa, le sensazioni si alternano fulminee (scappando fuori come il getto d’acqua di una doccia aperta per errore), nel tempo compreso tra lo scorrimento della cerniera (lampo!) da un capo all’altro della borsa: fretta, insofferenza per la scomodità della ricerca, rispuntare inatteso di ricordi, annotazione della faccia rassegnata di chi sta aspettando l’esito della nostra esplorazione.

Cosa contiene dunque l’ inspiegabile e ostinato perder tempo del cercare nella confusione? Non potrebbe trattarsi piuttosto di una “divagazione” che il tempo si concede? Un interrompere in modo capriccioso i gesti automatici e lontani dai nostri bisogni autentici, che occupano parti non piccole delle nostre giornate?

Mentre si rovista sbuffando dentro la propria borsa, cercando le chiavi della macchina o una penna, si mischia talvolta al disappunto qualche intermittente scintilla di piacere, come un sottrarsi momentaneo al controllo assoluto dei gesti e degli orari, un compiacimento malizioso del modesto parapiglia da cui certo prima o poi usciremo vive, un gioco in cui si fa finta di essere distratte, per offrire una scappatoia a qualche impulso della nostra parte inconscia, tenendo occupata quella che vigila fin troppo. (Come l’evasione furtiva di un gatto che approfittando dell’uscio socchiuso dalla sua padrona per firmare la ricevuta di un pacco, va a farsi una bella passeggiata!).

La borsa è una specie di pentola in ebollizione da cui può uscir di tutto. E forse è per questo che in fondo fa anche un po’ paura.

Gli uomini diffidano delle borse femminili e se ne tengono alla larga. Del resto guardarci dentro richiede un’autorizzazione esplicita, dichiarata a voce alta per non ingenerare equivoci. Perché la pazienza che una donna è in grado di portare verso le più incredibili mancanze di riguardo, può scoppiare all’improvviso in una collera tremenda di fronte alla intromissione nelle cianfrusaglie disparate che è solita portarsi dappertutto.

E, cosa strana, l’imperativo di non frugare in questo spazio viene recepito al volo dagli uomini, anzi è sottinteso. Essi appaiono restii perfino quando sono espressamente invitati a prendervi qualcosa, con indicazioni topografiche precise, come si trattasse di un quartiere!

Anche l’inconsueta osservanza della discrezione dimostrata in questo caso, desta meraviglia. Tanto più che di continuo vengono violati diritti femminili assai più sostanziali.

Quindi c’è qualcosa di più persuasivo di un codice civile. Uno spazio dichiaratamente femminile inquieta sempre, o meglio, inquieta ancora. Forse perché non è delimitabile e tuttavia emana una particolare intensità. (Anche la sola parola harem evoca suggestioni potenti e contraddittorie).

Fascino e timore che l’aspetto femminile possa risvegliare zone in ombra dell’inconscio, che getti nello scompiglio, che provochi disordine.

Disordine! Parola quasi vietata ad una donna. Che colpa terribile mostrare la casa in “disordine”. Quando si va a trovar qualcuno, siamo appena sulla soglia, con ancora addosso il cappotto e il freddo, e già cominciano le scuse per la casa mai abbastanza a posto, anche se è tutto lucidissimo.

Disordine proibito, rimpicciolito, (impossibile comprimerlo del tutto), concesso tutt’al più allo spazio esiguo di una borsa!

Si può capire dunque come mai una donna ne sia così gelosa e s’innervosisca se qualcuno si permette di aprirla a sua insaputa!

Nello scenario di relazioni interpersonali non di rado ispide e aggressive, ecco dunque incorniciata una danza curiosa che si ripete di continuo. Le donne custodiscono come un luogo sacro borse dal contenuto perlopiù irrisorio, e i maschi (a meno che non siano scippatori di mestiere!), vi girano attorno come se scottassero.

Forse si potrebbe andare oltre prendendo il tutto come un gioco, iniziando per esempio con l’abolizione delle scuse, ogni volta che cerchiamo qualcosa che ci serve, oppure non ci serve. Si potrebbe ridere più spesso, quando siamo alle prese con la nostra borsa e facciamo finta di perdere la testa, o la perdiamo davvero per un attimo, deliberatamente. Forse è possibile variare i passi della danza, invitare l’altro più vicino, prestargli la borsa qualche volta e osservare cosa succede a farne a meno. Provare per gioco, ma anche un po’ sul serio, usando ogni pretesto per capire come funzionano le paure rispettive e i trabocchetti. Per imparare ad evitarli e anche per sorriderne, per scoprire dove si nasconde il disordine reale, quello che ci sottrae il piacere straordinario di stare veramente insieme con qualcuno.

Ornella Trentin

torna a ....