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Le Donne dell'UDI di Omegna

Spiccioli, spiccioli delle mie brame

Da Miopia n.28, dicembre 1996

 

“Dai, parliamo del nostro rapporto col denaro”, si è detto un lunedì sera.

E c’è stato un generale moto di ripulsa: bleah... Eh no, troppo comodo far le indifferenti o le superiori: provate un po’ voi a mettervi lì in otto o dieci a raccontarvi l’un l’altra cosa ne fate, quanto ne avete, come lo gestite, che senso gli date, in che modo lo considerate, quanto ne vorreste e per che farne ecc. ecc.

Noi Sibille incominciamo sempre dal basso, senza nessuna paura di partir dallo scontato e di scambiarci ricordi e banalità apparentemente irrilevanti: magari ci vuol tutta una serata soltanto per verificare che ii tipo di rapporto che abbiamo con i soldi discende e dipende dai nostri primi anni di vita (“c’era la guerra” – “eravamo poveri” – “mia mamma era rimasta vedova ed eravamo una famiglia operaia” – “dovevo sempre giocare con le bambine di buona famiglia” – “ho dovuto aspettare ventisette anni per andare al circo” – “di soldi ce n’erano sempre pochi” e “a me non è mancato niente ma... ” e via con storie di pane nero e abiti riciclati) ma poi si insiste e si scopre che tutte le nostre vite – vecchie o giovani – son state e rimangono condizionate dal concetto di “denaro come necessità di una certa sicurezza” – “lo son sola e sento che divento vecchia, quindi...” –“se non fosse per i bambini” – “quando ci si ammala..” – “ormai non si può più far a meno né di certe comodità né di certe spese” – “Si ha sempre paura di ritrovarsi troppo poveri ” – “con gli affitti che ci sono e la malasanità” e via via convenendo che non si finisce mai di aver bisogno del denaro. Ma a ‘sto punto si slitta con facilità a chiederci “quale sicurezza? Sino a che punto? E che cosa ci garantisce?! A quale prezzo?! Ma davvero?! Figuriamoci”.

Non aspettatevi che noi Sibille si sia ideologiche o sacrificali, non aspettatevi che si faccia voto di povertà per sentirci nobili e belle maledicendo il dio Mammona, non aspettatevi che si sia uscite dalla riunione-sabba lacerandoci mantelli e montgomery in due per darne un’inutile metà al primo passante infreddolito... Eh no, troppo comodo e folkloristico sarebbe, troppo vano e inconcludente: noi su tutto, e anche su questo denaro preferiamo ragionarci su sino a cambiarci un po’ sia il cervello che il modo di fare ed essere, dopodiché non abbiamo capovolto l’andar del mondo ma ci sentiamo più libere e nuove, più padrone delle nostre idee... ed anche del nostro denaro.

È difficile riassumere ma vediamo un po’ di riuscirci per punti:

a) il denaro è una convenzione, mobile nel tempo ed anche nella nostra vita, con diverso valore;

b) veniamo abituate a credere che sia una necessità o un privilegio, una sicurezza, una garanzia, una conquista, un diritto, un dono, una facoltà, uno strumento, un obbligo sociale, un bene o un male ecc. ecc.

e) da stasera si delibera che il denaro è scambio quindi “relazione e comunicazione con l’altro” e non soltanto in senso pecuniario, ma comunicazione tout-court (comunichiamo attenzione o indifferenza, amore o avidità, generosità o grettezza, libertà o condizionamento);

e) le donne son più povere degli uomini – ancora anche da noi – tuttavia gestiscono e amministrano l’economia spicciola e quotidiana: possono essere sia le prime vittime del consumismo che le prime artefici del non-spreco, che è cosa diversa e spesso diametralmente opposta al risparmio-accumulo che ancora sostiene l’attuale sistema economico fondato sul potere di sempre più pochi a danno dei sempre più molti;

f) le donne (tutte le donne del mondo) possono diventare artefici comunque di una nuova economia, se prendono atto che quella attuale è assai mortifera e menzognera e non garantisce più né il benessere materiale e men che meno la tranquillità del cuore;

g) il corpo delle donne conosce il ciclo mestruale, la gravidanza e il parto: questo perder sangue e dar la vita rinnovandosi ci deve pur aver insegnato qualcosa di diverso dal meccanico e statico “dare-avere” delle leggi dell’economia... (la buttiamo lì);

h) se ci siam convinte da tempo che “la solidarietà è conveniente”, ora ci siam convinte che la condivisione (del denaro, sì!) è cosa moderna e felice (per chi crede è un tipo di eucarestia, per chi non crede è il sapersi in relazione con “l‘altro”);

i) il “come” e il “quanto” si condivide rimane questione squisitamente personale, ma le regolette son quelle del non spreco e della non taccagneria, né nei confronti nostri né nei confronti altrui.

 

Il tanto famigerato “empowrement” delle donne sia fondato su più scioltezza e libertà dei desideri e del denaro stesso: no all’accumulo, sì alla condivisione...

E chi volesse delucidazione e confronti con le nostre esperte d’economia, può chiedercele in qualsiasi momento in redazione: per le spese di telefono e di francobolli, accludete un po’ di denaro, appunto!

Le donne dell’UDI di Omegna

 

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