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Marina Galeotti

I miei primi 25 anni

Da Miopia n.30, Settembre 1997, numero monotematico
IL TEMPO DI ECATE

 

Sono nata agli albori degli anni Settanta, appena in tempo per identificarmi nel revival proposto dalla trasmissione televisiva “Anima Mia”, infatti conosco a memoria tutte le canzoni di Baglioni, anzi non so come abbia fatto ad uscire viva, tutto sommato, da “Passerotto non andare via” e dalla “Ragazza di campagna” che, dopo essersi beccata un manrovescio dal padre, subisce anche le attenzioni di un guardone. Ora trovo tutto ciò mostruoso, ma in tenera età mi ci sono profondamente commossa e di sicuro i danni sono stati permanenti.

Sono stata adolescente negli edonisti anni Ottanta, quando un costoso paio di scarpe veniva confuso con un’ideologia e chi voleva contestare questa aberrazione non trovava di meglio che riempirsi di borchie e portare jeans stracciati, evitare le neonate lampade “UVA” ed anzi accentuare il pallore con la cipria bianca: indossare un’altra divisa, insomma, anche se rigorosamente non “griffata” (per il sollievo dei genitori paganti). Devo molto a quegli anni, perché mi hanno insegnato la modestia: quando sento dire dai miei coetanei che gli adolescenti di oggi non credono in nulla mi viene automatico rispondere che, per lo meno, non adorano in massa un paio di scarpe da boscaiolo!

 

Un trentennio è già un buon campione rispetto ad un secolo, mi pare, e, se così non fosse, è comunque ciò di cui dispongo: né più, né meno. A livello personale, poi, aver superato il quarto di secolo è un traguardo un po’ inquietante, soprattutto per chi, come me, all’età non ha mai dato peso. Ho letto Hermann Hesse in un’età critica e la sua frase, fra le tante, che forse mi ha stregata maggiormente, è stata: “...esistono i vecchi e i giovani solo fra le persone dozzinali...”. A diciotto anni nessuno si considera, o ritiene di diventare, una persona dozzinale, quindi io decisi di essere “ora giovane, ora vecchia, così come sono ora contenta, ora triste”. Poco mi importava che qualcuno ogni tanto mi dicesse “quando avrai la mia età capirai tante cose” o mi guardasse con condiscendenza, o con invidia... non me ne accorgevo e basta. In ciò sono stata certo aiutata da persone che mi hanno dato moltissimo senza farmi pesare la loro maggiore esperienza, magari glissando sulla mia saccenteria, ed anche grazie a loro ho potuto vivere una vita in un certo modo contro corrente, facendo scelte sbagliate all’età sbagliata, incaponendomi, mollando tutto ad un certo punto e cambiando direzione.

Il problema è, come sempre, l’ambiente esterno. Una donna vive tutta la vita accompagnata dal ritornello del tempo che passa, come una cantilena che parte in sordina per poi aumentare progressivamente di volume fino a diventare assordante. Per gli uomini mi pare sia molto diverso: loro hanno le scadenze: a trent’anni gli viene il bisogno di sistemarsi, fermo restando che se non lo fanno è perché non hanno voluto, a quaranta vivono per la carriera, a cinquanta divorziano e si mettono con una di vent’anni più giovane... vanno a sbalzi, insomma. Noi, fin da bambine ci sentiamo ripetere una serie di luoghi comuni di cui quello sull’età è fra i più insistenti: non solo come “traguardo” per fare determinate cose (per fortuna, a causa della maggiore scolarizzazione e della difficoltà a trovare lavoro e casa è “tollerato” che ci si sposi e si abbiano figli piuttosto tardi... purché lo si faccia!), ma anche come discriminante nella scelta delle amicizie e dei luoghi da frequentare. Sbirciando in libreria una pubblicazione dedicata alle preadolescenti ho letto pressappoco questa frase: “...è importante avere un’amica del cuore: l’amica del cuore ha i tuoi stessi gusti e la tua stessa età: se la tua amica del cuore ha queste caratteristiche ti puoi fidare di lei....”. Già è difficile trovare amici veri, mettiamo pure dei limiti alla Provvidenza! Ed i valori della differenza, dello scambio, dove li mettiamo? La stessa mentalità produce, un quindicennio più avanti, l’esclamazione: “Non andare in quella discoteca: sono tutti bambini!” (dove bambini sta per ventenni). E da lì in poi non può che peggiorare, soprattutto per chi non fa tutto secondo le regole e si intestardisce ad andare dovunque e comunque.

Ho la sensazione che la società non ce l’abbia in particolare con la donna “vecchia”, ma più esattamente con la donna che non sta al proprio posto, che non assolve al proprio compito. Se una donna continua, dopo i famosi venticinque - trent’anni, ad andarsene in giro come le pare e con chi le pare, dimostra visibile intenzione di destabilizzare il sistema. Ci sono probabilità che sia restia a formare una famiglia e dare figli alla Patria. Bisogna quindi isolarla e neutralizzarla. Vai con i pregiudizi ed i luoghi comuni: se è single sarà perché nessuno se la prende, quindi, donne, non imitatela. Che guaio se questo modello di vita si diffondesse... Così, l’unico tipo di donna a cui è permesso invecchiare è la donna che accetta passivamente il proprio ruolo: la nonna della candeggina, per intenderci. Quella con i capelli bianchi ed il grembiule immacolato. Per le altre, mi spiace ma prevedo tempi duri. A meno che...

A meno che le donne non smontino questo ingranaggio (neanche troppo sofisticato, sì, mica un microcircuito!) e comincino a rompere l’isolamento, a “passarsi le informazioni”, ma a tappeto, senza remore, in maniera circolare: le più giovani alle più anziane e viceversa, mettendo da parte, per l’occasione, anche la retorica dell’esperienza dei vecchi saggi. Siamo tutte accomunate dal fatto che ci tocca vivere questo presente, bello o brutto che sia, con gli strumenti che possediamo. Quindi non può che farci comodo sapere come lo vivono le altre che sono uguali a noi per certi aspetti e diverse da noi per altri. Le tredicenni che mi danno del “lei” in piscina, così come le cinquantenni che mi dicono: se ti lamenti adesso, vedrai quando avrai la mia età!, allo stesso modo delle coetanee che non vanno nel tal locale “perché sono tutti bambini” contribuiscono a mantenere lo scollamento fra donne e donne, che in questo modo continuano a credere che i loro drammi siano personali e comunque ineluttabilmente collegati ad un dato di fatto impossibile da modificare come l’età anagrafica.

Marina Galeotti

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