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Beppe Pavan

Aiuto, sono un eterosessuale

Da Miopia n.33, febbraio 1999, numero monotematico
ETEROSESSUALITÀ TRA CRISI DEL PATRIARCATO E LIBERTÀ FEMMINILE

Partiamo da una constatazione: si parla sempre di preti omosessuali, a volte se ne trova addirittura registrato il numero... “La chiesa anglicana ha avuto arcivescovi, vescovi e preti omosessuali sin dalle sue origini”1. Nelle informazioni giornalistiche i preti sono o omosessuali o niente. Tutti gli altri cosa sono? celibi autentici o eterosessuali? Sta di fatto che di quelli etero non si parla mai, tranne quando qualcuno, dichiarato o sorpreso in flagrante, viene espulso o messo in quarantena.

Secondo: quando si dice “preti omo” credo che si debba intendere “praticanti”; altrimenti, come potrebbero venir riconosciuti come tali? E così si può anche sapere quanti ce n’è.

Ciò che i preti non possono praticare è l’eterosessualità: per questo non si può sapere quanti sono i preti etero. Forse perché c’entrano le donne? Il sospetto è più che legittimo, visto quel che succedeva (succede?) di norma nei seminari: insegnamento misogino e comportamento omo. Per fortuna stiamo assistendo, nonostante le paturnie di Wojtyla, ad un discreto risveglio: anche i preti (alcuni) cominciano a rendersi conto di avere una coscienza e che quel giuramento di obbedienza cieca al vescovo non è diverso da quello dei militari, fascista e contraddittorio con la coscienza. Contraddizione che può, per inciso, verificarsi anche per gli altri voti: di povertà (il card. Giordano illumina...) e di castità, appunto!

Ma questo risveglio non è che il primo passo verso l’uscita dalla misoginia. In effetti, ci sono pastori valdesi, che non pronunciano voti di castità, famosi per essere campioni di “caccia”, di separazione e di divorzio. Qualche problema con le donne ce l’hanno anche loro, probabilmente.

Mi è venuta spontanea questa prima riflessione perché anch’io ho avuto una lunga formazione seminaristica e parlo, quindi, con una discreta cognizione di causa. Formazione che mi ha creato qualche problema nella vita di relazione perché, in ordine cronologico:

1 - per anni sono stato incapace di amicizia con altri uomini: loro mi parlavano di sè e io facevo il “padre spirituale”, ma non sapevo e non volevo parlare di me;

2 - per anni sono stato convinto che la vita sessuale, anche con la mia compagna, dovesse seguire le leggi silenziose, addirittura afone, di una spontaneità non formata. Continuavo a tenere tutto dentro, ben chiuso a doppia mandata, sicuro di aver avuto in dono, come tutti gli uomini, la forza necessaria a controllare i sentimenti e le emozioni, offrendo di me soltanto il volto della serenità e dell’allegria.

Quando, poi, lo schema si è rotto e ho cominciato a parlare con Carla di quello che avevo dentro, di come ero in realtà, ecc... per anni ho continuato a pensare che quella difficoltà a verbalizzarmi fosse ascrivibile alla mia particolare formazione: in fondo, solo una minoranza di uomini sposati ha vissuto per undici anni in un seminario!

Con il femminismo e poi, soprattutto, con il gruppo-uomini ho capito che non era esattamente così, che la mia esperienza era anche di altri, era condivisa, che è abbastanza “normale” che gli uomini siano incapaci di leggersi dentro e di esaminare il proprio disordine interiore e le proprie incredibili superficialità e di arrivare, così, a smettere di fare “quello che viene” e a vivere, quindi, decisamente meglio. Non so se è un pensiero solo mio, ma è assurdo che noi uomini siamo incapaci di avere una vita sessuale “democratica” e gioiosa; che sia una convinzione così diffusa che l’innamoramento possa durare solo qualche anno (pochi, in ogni caso) e che poi subentrino, ineluttabili, l’abitudine e la noia; e che, colmo dei colmi, non riteniamo di prendere sul serio il pensiero che, invece, possa essere il contrario: l’innamoramento che dura nel tempo, con tutti i suoi piacevolissimi annessi e connessi.

Cos’è che può trasformare (o impedire che diventi) un cliente abituale di prostitute, un consumatore di pornografia (anche se, adesso, benedetto da Famiglia Cristiana!)... in un uomo che gode sempre di più, negli anni che passano (troppo velocemente, ahimè!), della relazione con la propria compagna? E’ la condivisione di progetti di vita, non solo di un tetto sotto cui vivere da sultano con la propria serva-concubina. E’ la conoscenza, comprensiva e serena, di sè e di lei, della sessualità maschile e di quella femminile, delle differenze e delle affinità.

E’ la consapevolezza della propria parzialità e dei propri limiti, del rispetto dovuto a ogni persona e della non assolutezza del proprio bisogno di rassicurazione, che prevede, per la propria soddisfazione, la disponibilità di donne a “farmi ciò che voglio io”: pagando, beninteso, ma prescindendo assolutamente da ogni loro desiderio. Perché così fanno gli uomini...

E’ la creatività e la disponibilità alla sperimentazione, condivisa e mai imposta, gioiosa e paziente se i tempi della condivisione non coincidono con quelli dettati dal proprio desiderio. E’, ancora, l’attenzione al piacere di lei, imparare a “leggerla” come un libro aperto, pronto a coglierne desideri e sfumature e ad adeguarvi le risposte del proprio corpo.

Ti vieni a trovare così nella situazione “top”, esempio ineguagliabile di “convenienza”: più dài, più ricevi! In termini di piacere: non so se mi spiego... Mi rendo conto, abbastanza lucidamente, di essermi appena affacciato sulla soglia di una riflessione sulla mia (etero)sessualità.

Parecchi giorni dopo aver scritto quello che precede, ho avuto la felice intuizione di leggere Sesso e genere di Maria Nadotti (ed. Il Saggiatore, Milano 1996), facendomene illuminare. La riflessione continuerà, ma intanto sento mia, fino in fondo, l’ultima riga di Nadotti: dobbiamo educarci a rispettare “la singolarità del desiderio”. E poi esprimerlo, coltivarlo, gioirne.

Come faceva Saffo verso le ragazze della sua comunità femminile: dedicava loro versi e liriche appassionate, espressioni positive e dolci. Assurgendo, giustamente, agli onori della letteratura mondiale, invece di sprofondare nell’oblio sotto il peso del disprezzo universale. Anche in seminario si studiava (si studia?) Saffo, nel programma di greco. Ma è come per la Bibbia e per la storia: si impara poco di quello che si studia a scuola, soprattutto per la vita.

Beppe Pavan

1) Vescovo anglicano: riconoscere le coppie, Il Manifesto, 21.7.98.

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