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Elena Fogarolo

Le guerre me le hanno insegnato le donne

Da Miopia n.34, luglio 1999, numero monotematico
RELAZIONI FEMMINILI

 

Terza elementare, il primo sussidiario.

Si comincia lo studio della storia.

“Punisco il braccio che ha sbagliato” e l’illustrazione a tutta pagina mostra un soldato, il braccio sopra una fiamma, il portamento eretto, un cimiero con un folto pennacchio e l’armatura che brilla al fuoco, in mezzo ad altri soldati ammirati. Le altre illustrazioni sono tutte dello stesso genere. Un altro uomo, in catene ma ugualmente con l’atteggiamento eretto ed orgoglioso, guarda senza paura la botte irta di chiodi nella quale fra poco verrà introdotto e fatto rotolare gin per una collina...

Sono eroi. Non si deve piangere. Non si deve nemmeno intenerirsi. Vanno ammirati.

Chi ce lo insegna?

La maestra, una donna. Nessuna delle mie compagne ha mai dato segno di sgomento. Come me, avranno mandate giù, anche loro.

Come fa una bimbetta di otto anni a reggere a tanto orrore senza gridare?

Non è una novità, si e già abituata. Monumenti della città, cimiteri di guerra, ma soprattutto parole (e i film nelle sale parrocchiali?).

A sette anni, per la cresima, avevo imparato che quel sacramento tra l’altro mi avrebbe fatto diventare “soldato di Cristo”. I soldati quindi erano “buoni”.

Avevo imparato un canto, me lo avevano insegnato le suore:

 

Santo padre che da Roma

ci sei meta luce e guida

in ciascun di noi confida

...

Siamo arditi della fede

siamo araldi della croce

a un tuo cenno a una tua voce

un esercito all’ altar. ..

 

Le suore canossiane mi avevano insegnato un altro canto, in onore della loro fondatrice, la veronese Maddalena di Canossa, canto che mi stupiva perché presentava in modo inusualmente guerresco una città tranquilla come Verona:

 

A Verona l’ardita la forte

spunta un candido fiore gentile

che con forza e coraggio Virile

chiesa padre famiglia onorò.

Maddalena di Canossa salve a te...

 

D’estate andavo in colonia. All’alzabandiera Si cantava “Fratelli d’Italia” e alla sera, all’ammaina bandiera, “Il Piave mormorava”. Passata alle Medie, in una scuola femminile, il mio libro di latino comprendeva innumerevoli pezzi sui coraggio delle puellae romane, che come uomini, come soldati ecc.

Tutto questo l’avevo imparato da voci femminili. Nei luoghi femminili mi ero familiarizzata con immagini di guerra. In chiesa, luogo femminile per eccellenza, mi ci portavano soprattutto le nonne: ogni chiesa aveva i quadri della via crucis, quasi tutti contenenti immagini di soldati crudeli, con fruste e lance, urlanti, schiacciami...

Le donne dicevano: “è una croce... bisogna portare la propria croce”. Alzati, prendi la tua croce e cammina.

Quell’oggetto di tortura usato dai soldati romani, a forma di T, si era assimilato con il tempo all’antica croce delle religioni precedenti, che aveva tutt’altro significato, tutt’altra luce.

Gesù Cristo muore su questa sorta di croce non per motivi religiosi, ma perché si trova in mezzo ad una guerra: i romani lo uccidono perché temono che egli voglia diventare un capo popolo dei giudei, una minaccia al dominio imperiale di Roma. Del messaggio religioso di Cristo ai romani non importa nulla.

Certo i soldati onnipresenti nelle rappresentazioni di scene evangeliche non sono i “buoni” soldati di Cristo, sono pagani e “cattivi”, ma ciò non toglie il carattere ossessivo, guerresco e ambiguo di queste rappresentazioni.

 

La lingua che parlano le donne è zeppa di guerra. La nostra scolarizzazione ha voluto dire, per tutte, diventare delle sonnambule esperte di ammazzamenti.

In genere voci femminili, pacate e intelligenti, ci hanno spiegato Napoleone, il Risorgimento, la conquista dell’America. “Da pagina 161 a pagina 188... studiate il capitolo sui normanni... non avremo tempo di fare la battaglia di Lepanto... nell’altra classe sono già arrivati alla caduta del Sacro Romano Impero e noi invece siamo ancora alle invasioni dei barbari...”.

Quaderni puliti, libri ben stampati, registri, un italiano forbito, date, nomi prestigiosi in copertina... qualche insegnante esagerata si alzava nominando Garibaldi e Mazzini, ma in genere erano diligenti ex ragazze che ci facevano imparare troppe date... o più modernamente, dicevano che le date non servono, che ci vuole logica, che bisogna saper concatenare i fatti...

D’altro canto le donne che non avevano studiato non erano immuni depositarie della pace. “Ogni generazione una guerra” dicevano, rassegnate in partenza. Io maledicevo la mia sfortuna che mi aveva voluto sorella di ben tre fratelli maschi. Pensavo in anticipo a quanto avrei sofferto, a quanto avrei pianto quando fosse venuta la guerra per la nostra generazione.

Non si doveva piangere, neanche le femmine, soprattutto nelle famiglie numerose che per necessita assomigliavano in certi aspetti un po’ a delle caserme soft.

Più tardi, davanti alla mia desolazione inconsolabile perché ii mio compagno doveva fare il militare, una nonna buona e mite mi diceva: “meglio un soldato che uno scartino”. Una bella divisa da ufficiale era di ornamento nelle vecchie foto di famiglia.

Tornando a ricordi delle scuole elementari, una mia compagna ha fatto sdilinquire l'insegnante raccontando in un tema intitolato “castelli in aria” che il suo sogno più ardente era fare la crocerossina e curate i soldati.

 

Fuori dalla scuola, dall’adolescenza in poi, molte di noi si confrontarono individualmente con l’ oscuro problema del male, di cui la guerra era uno dei sintomi più forti... ma intanto a scuola si studiavano le spedizioni di Napoleone come se fossero esercizi di palestra.

Persino lo studio della letteratura era profondamente contaminato dalla guerra. Per esempio Manzoni e la sua ode per la morte di Napoleone:

 

Ei fu. Siccome immobile,

dato il mortal sospiro,

stette la spoglia immemore

orba di tanto spiro,

così percossa, attonita

la terra al nunzio sta,

muta pensando all'ultima

ora dell'uom fatale;

né sa quando una simile

orma di piè mortale

la sua cruenta polvere

a calpestar verrà.

 

E i Sepolcri del Foscolo, che proponevano come massimo obiettivo di finire dentro una tomba il piùornata possibile? E la spigolatrice di Sapri?

 

Eran trecento

Eran giovani e forti

E sono morti...

 

E il Busento! E Corradino di Svevia, che mi faceva particolarmente pena, essendo un ragazzino appena un po’ più grande di me (Corradino di Svevia era il suo nome...). L’Alfieri e il suo Agamennon. E, più micidiale di tutto: la triade Iliade-Odissea-Eneide. La classe femminile divisa in fazioni, chi per i troiani chi per i greci, chi per Achille e chi per Ettore.

Io tenevo per Achille: dovevo tenere per Achille. Tenere per Ettore mi avrebbe portata in manicomio. Tutto quello che studiavamo era la conseguenza della vittoria dei greci. Per i troiani si poteva provare pena... a volte sgomento...

Poi l’Odissea... ci si soffermava su Nausicaa, ma poi c’era anche tutto il resto, che leggevo da sola... l’impiccagione collettiva delle schiave... ma che mondo era?Il mio, il nostro sgomento non riusciva a tradursi in parole, in domande.

E lo studio delle lingue e delle culture straniere, che più dettagliatamente spiegavano il massacro della Notte di san Bartolomeo in Francia o la guerra delle Due Rose in Inghilterra? E Shakespeare: per qualche scena d’amore, quante guerre?

Non bastando loro le guerre proprie, i “grandi” che studiavamo partecipavano anche a quelle degli altri: Byron, Shelley... e le belle voci delle insegnanti raccontavano, arricchivano e spesso mettevano del loro... magari proprie voglie di avventura, di protagonismo e chissà che altro ancora...

Ti portavano nei musei, le insegnanti colte e sensibili; a veder guerre, anche Iì, sotto forma di pitture con cavalli, lance, gente riversa... e una voce melodiosa ti faceva notare “l’armonia della composizione, l’innovazione della prospettiva, la tavolozza cromatica...”. Si visitavano castelli, ci si issava al tramonto su camminatoi che erano serviti ai soldati per spiare i nemici, ma non ci pensavi... in effetti non si sapeva cosa si stava facendo.

Un particolare, ogni tanto, ti ricordava la crudezza, ti ricordava la destinazione di quella costruzione... ma bastava un mutamento del cielo, un richiamo affettuoso, una rondine e ritornavi ad essere solo l’alunna, e loro le insegnanti...

E poi i viaggi di istruzione: Parigi! Il Louvre! La sala degli italiani! Il pavimento di legno scricchiolava leggermente mentre consumavo la sacra iniziazione... qualche tributo alla guerra c’era sempre... “no, non mi piace”: ero grata di poterlo dire, davanti ai quadri celebranti i potenti.

In Sicilia! Le influenze arabe... le invasioni, le contro invasioni... e Roma? I fori imperiali, il Colosseo, gli archi di trionfo... i popoli vinti trascinati in catene come schiavi...

Ti bastava che le insegnanti non amassero le sale con l’esposizione delle armature; che non si interessassero agli aeroporti militari; che non ci portassero agli ossari. Dimenticavano anch'esse le picche con le teste mozze, gli eccidi, i veleni. Ma poiché erano serie e ti insegnavano ad approfondire, “comprate la tale guida” ti dicevano, “non risparmiate sulle guide”... e così compravi le guide, e quello che le insegnanti non avevano voluto vedere e sapere, le guide te lo dicevano con dovizia di particolari.

Elena Fogarolo

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