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Marina Galeotti

Tutta colpa della papaia

Adamo ed Eva tra peccato originale e teoria della comunicazione

Da Miopia n.28, Dicembre 1996

 

Fin da quando, da piccola, sentivo raccontare la vicenda di Adamo ed Eva e della loro cacciata dal Paradiso, mi meravigliavo che la fantasia popolare avesse scelto come frutto proibito la mela, che secondo me non aveva proprio nulla di peccaminoso, anzi l’ho sempre associata (cotta) a disturbi ed indisposizioni varie. In quel ruolo avrei visto meglio qualcosa di più esotico, che so, una papaia.

Mela (o papaia) a parte, la storia di Adamo ed Eva mi irritava perché la consideravo profondamente antidonna. Mi irritavano i commenti dei compagni di catechismo, che immancabilmente ridacchiavano: ecco, sempre colpa delle femmine! Essere femminista è una faticaccia, esserlo a sette anni può risultare (per restare in tema) un inferno, soprattutto se si cerca di conciliare questo con i precetti del cattolicesimo.

Recentemente ho formulato una mia ipotesi sul significato simbolico della mela, che probabilmente non piacerebbe al mio parroco d’allora (chi l’ha più visto, del resto), ma rende tutta la storia più interessante, costruttiva, nonché politicamente corretta. Nell’Eden Adamo ed Eva si capivano alla perfezione; davano lo stesso nome alle cose, agli animali, persino ai concetti, per quanto, beati loro, ne possedessero pochi. Non avevano bisogno di molte parole, si intendevano con un’occhiata, facevano tutto assieme, si completavano a vicenda, non litigavano mai, non erano gelosi una dell’altro (per mancanza di concorrenti, vabbé, ma che c’entra!). Il loro rapporto era estremamente soddisfacente, certo non avevano termini di paragone, ma erano felici e questo è ciò che conta, no? La loro era quella che comunemente si definisce un’intesa perfetta. La perfezione, però, esiste solo allo scopo di essere turbata, e di qui la necessità del serpente che offre la mela (o la papaia) alla donna, che, possedendo una splendida virtù chiamata disobbedienza, l’accetta. Adamo è meno convinto, ma assaggia pure lui, solo per il gusto di poter, poi, recriminare, sport maschile già in voga a quei tempi.

Dopo la merenda, dicono le Scritture, entrambi si accorgono di essere nudi. Perché mai, mi chiedo, la nudità avrebbe dovuto preoccuparli? Che razza di punizione può essere la vergogna per le proprie parti intime? È questo il punto che non mi convince: forse i due non sono stati puniti per la disobbedienza in sé. Magari era tutta una messinscena, quella del serpente, che faceva parte di un piano. Una coppia così unita è dotata di un potere invincibile e difficile da controllare dall’esterno, tale da far temere a Dio per l’equilibrio del Creato. Ecco: la “nudità” potrebbe rappresentare la mancanza di un linguaggio comune, una specie di “pre-Babele”?

Forse prima di assaggiare il frutto i nostri avevano solo creduto di capirsi e in questo consisteva il Paradiso. L’hanno perso nel momento in cui si sono resi conto che parlandosi non si capivano. Dopo aver mangiato la papaia Adamo ed Eva migliorano sensibilmente le proprie competenze comunicative, specializzandosi però in due funzioni differenti; oggi che abbiamo a disposizione ampi studi in merito finalmente possiamo cercare di comprendere. Adamo, fondatore del cosiddetto “sesso forte”, sviluppa la funzione comunicativa detta “referenziale”, considerata ancora oggi (a torto o a ragione) la funzione fondamentale della comunicazione, consistente nello scambio di informazioni fra gli interlocutori su di un oggetto (detto “referente”). In pratica, Adamo comunica dei contenuti. Non parla per parlare, ma spinto da motivazioni concrete, per raggiungere scopi, per risolvere problemi. Eva invece, quale esponente di quello che in breve diverrà il “secondo sesso”, si specializza nella funzione che oggi definiamo “interpersonale”, sviluppando grande competenza nel linguaggio di relazione. Eva parla per stabilire relazioni, creare legami, capire se stessa e gli altri: l’altro, in questo caso, poiché al momento ha a disposizione solo Adamo. Questa funzione, che in epoca di alacre studio dei fenomeni di comunicazione di massa viene rivalutata (anche se purtroppo spesso a fini di tipo economico, per migliorare le tecniche di vendita, ad esempio), è stata ampiamente declassata nei secoli dei secoli, venendo definita spesso “chiacchiere”, “pettegolezzo” e chi più ne ha, più ne metta.

È l’inizio della fine dell’esperienza-Eden per il genere umano. Il serpente dell’incomprensione striscia già fra i nostri eroi, che pure sono animati dalle migliori intenzioni. Quando Adamo ha un problema, Eva gli dimostra affetto, tenerezza, solidarietà, cerca di fargli capire che non e solo e che può sempre contare su di lei. Adamo però interpreta questo atteggiamento come un voler “girare intorno” al problema senza trovare una soluzione, e giudica Eva fastidiosamente assillante.

“Ma come,” dice “ti chiedo aiuto e tu ti perdi in smancerie?” (sarà stato un po’ rozzo, ma lui almeno aveva la scusante di vivere nel Paleolitico!). D’altra parte, quando è Eva ad avere un problema, Adamo si fa in quattro per risolverglielo concretamente, le prospetta tutte le possibili soluzioni, fa veramente del proprio meglio, ma anche Eva fraintende: le sembra che lui voglia tagliar corto, lo sente distante, così pragmatico, non le dimostra nemmeno un po’ di comprensione umana o empatia che dir si voglia. Si sente trascurata e sottovalutata dal compagno che Dio le ha assegnato. Non ha avuto scelta, poveretta, e se a a ciò aggiungiamo che non può nemmeno telefonare alla mamma o all’amica del cuore possiamo ben comprendere il suo smarrimento. La sorellanza all’epoca non è ancora stata inventata e pare che fra lei e Lilith non corra buon sangue (perché invece la società patriarcale e il “divide et impera” esistono già).

I due cominciano, purtroppo, a litigare, al punto che i vicini (i cherubini, i serafini, gli angeli e gli arcangeli) raccolgono le firme per cacciarli dall’Eden per schiamazzi e disturbo della quiete celeste.

Giunti sulla Terra, accompagnati da terribili anatemi (“Tu lavorerai con sudore” e “Tu partorirai con dolore” secondo la versione ufficiale) le cose non fanno che peggiorare, per loro. Se non andavano d’accordo in Paradiso, figuriamoci sulla Terra dove subentrano nuovi problemi: il lavoro, i soldi che non bastano mai, poi i figli e gli annessi problemi educativi (qui le incomprensioni si elevano al cubo!).

Sono passati da allora, a spanne, quaranta secoli e forse più: oggi abbiamo dalla nostra la tecnologia, la coscienza storica, il femminismo, gli studi sulla comunicazione, ma gli uomini e le donne continuano a fraintendersi. Nell’esperienza diretta e indiretta di ognuna di noi ci sono infinità di coppie in crisi, mentre i rapporti di coppia davvero funzionanti sono considerati strani mostri da studiare. Non parliamo poi degli innumerevoli incontri mancati, finiti sul nascere proprio a causa del fallimento dell’intento comunicativo.

Quando un uomo e una donna si conoscono e si trovano interessanti, hanno spesso ben chiaro il fine a cui vogliono arrivare (un’amicizia, un’avventura, il matrimonio), ma non altrettanto il modo con cui perseguire tale fine. L’uomo pensa che sia giusto essere concreti e raggiungere lo scopo, quale che sia, prima possibile, quindi intensifica il “trattamento”: tre telefonate al giorno: fasci di fiori recapitati a casa da] fioraio del rione (che fa già i suoi conti: se sta storia dura un po’ rinnovo il negozio!) , e dichiarazioni di disponibilità plateale: “Come: sei rimasta senza benzina stanotte alle quattro? Perché non mi hai chiamato? Che fa se eri a cento chilometri da casa mia, sarei venuto a prenderti subito!”.

La donna, forse a causa dell’imprinting del “fatti desiderare” più volte ripetutole da mamma fin dall’adolescenza, a tutta prima non si butta nella cosa con tutto l’entusiasmo di cui è capace, vuole capire meglio con chi ha a che fare e soprattutto vuole instaurare una relazione positiva, quale che sia il fine da raggiungere. Così cerca di placare gli ardori del corteggiatore, se è una single inveterata cerca di difendere la propria autonomia così difficilmente conquistata, accumula i mazzi di rose pensando che presto sfioriranno e chissà quanti bambini in Bosnia avrebbero potuto mangiare con quei soldi. Poi, dopo un certo lasso di tempo variabile a seconda dei soggetti, si convince della sincerità dei sentimenti di lui e abbassa la guardia, qualunque cosa voglia, dire. Ricambia attenzioni e telefonate, se è molto paritaria e non si preoccupa troppo dei bambini in Bosnia, anche i fasci di rose. Ma a lui cosa succede? A volte va tutto bene, il messaggio è ricevuto e nasce un amore (o un’amicizia, o un’ avventura, o uno di quegli ibridi tanto di moda). Altre volte, disgraziatamente frequenti a giudicare da ciò che si sente in giro, scatta qualcosa. Il corteggiamento è finito e con esso la parte attiva della faccenda.

Ora si tratta di creare una relazione, e non ci sono parole comuni per questa fase. Ciò che non si può dire è molto difficile da fare. Lui sente che la compagna si sta legando troppo e si spaventa, spesso la percepisce come fragile e vulnerabile e non vuole avere accanto una persona così, lui vuole ancora quella che lo snobbava e lo prendeva in giro e talvolta lo bidonava clamorosamente. O lei o una come lei. Quindi giudica più facile trovare un’altra e ricominciare il “corteggiamento”. Alla malcapitata spiega il meno possibile, perché le parole scarseggiano.

Lei, d’altro canto, vede calare a picco le telefonate, le rose, eccetera. Gli telefona perché le si è fermata l’auto a due isolati dalla casa di lui e lui le fornisce il numero di un amico che ha un carro attrezzi. Stop. Tutto quello che viene dopo non serve, è finita. E tutto per colpa della papaia. È colpa della papaia se ci sono tante coppie in crisi, tanti single dall’analista a chiedersi a novantamila lire alla mezz’ora perché le loro storie d’amore non durano, A costo di far crollare i guadagni degli analisti di tutto il mondo, denunciamo la vera responsabile di tutto questo sfacelo: sempre e solo lei, l’unica, la sola, l’inconfondibile, l’atavica PAPAIA!

Marina Galeotti

 

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