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Mila Spini

Invecchiare non è mai neutro

Da Miopia n.30, Settembre 1997, numero monotematico
IL TEMPO DI ECATE

 

 

Chi firma non ritenne necessario buttar giù un contributo lungo ed articolato sulla differenza di genere, limitandosi a sottoscrivere nella propria coscienza quanto Zia Vespasia aveva brevemente commentato con apparente distacco. Giusto così: quella gentildonna di carta è di almeno una generazione più anziana della media di coloro che scrivono su “Miopia”. Altrettanto può dire di sé Mila Spini.

Questo significa che io sono abituata a vedermi intorno una specie del genere Homo sapiens molto peggiore di quella che ora contiene i pochissimi soggetti che almeno tentano un’ombra di autocoscienza, nel senso di marcia di un avvicinamento non prevaricatorio alle donne.

Quindi, è più che evidente che l’argomento della differenza di genere torni a galla, e con più forte pregnanza, quando si tratta di persone avanti negli anni. Vi è allora un marcire, un incancrenirsi di pregiudizi a quella specie di rendita di posizione che quasi sempre l’uomo crede di avere nei riguardi della donna anche, e soprattutto, quando questa gli sia individualmente superiore per educazione ed intelletto.

Ma, nonostante che io dichiari scherzosamente di essere una povera vecchietta indifesa, per fortuna non ho in me la struttura psicologica della vittima, e me la son sempre cavata da sola. (E voglia il cielo che non mi sia mai, senza volere, accaduto di eccedere nella difesa verbale).

Per questo son definita un’anarchica individualista da molte delle mie amiche, ormai mature jeunes filles rangées. Cioè “ragazze per bene”, che tali sempre son rimaste in fondo, ma proprio in fondo, anche se si ritengono ancora circonfuse dall’aureola delle militanti rivoluzionarie. Però faccio il possibile per passare sempre dall’IO al NOI.

Oggi non pretendo che la mia possa definirsi l’età della saggezza, perché su quest’ultima parola ben pochi hanno mai avuto le idee chiare e, meno che meno, la mano sicura nel delineare i parametri che potessero definirla. Ma se una perfetta lucidità mentale e una certa possibilità di resistenza al lavoro ancora me lo consentono, mi ritengo legata al doveroso impegno di battermi perché la differenza di genere non pesi per l’eternità sul “destino biologico” delle donne. Figurarsi quando poi la biologia di tipo genitale non è ormai che un pio ricordo.

Mi viene in mente che circa alla metà degli anni ’50 uno scrittore svizzero, Pietro Scanziani, pubblicò su un rotocalco italiano a grande diffusione un’inchiesta in cui si documentava che una menopausa accettata senza imbottirsi la testa di pregiudizi, concedeva alla donna tempo e forze per far rifiorire le energie intellettuali.

Lo stesso, anche se in termini più vaghi e colloquiali, fu confermato dai rispettivi ginecologi di fiducia a noi appartenenti (erano i primi anni ’70) a un gruppo femminista definibile “di mezza età”.

Però si perpetua da secoli l’idea che la donna non più in grado di procreare sia, sessualmente e intellettualmente, buona per l’immondizia o, per essere più esatti, destinata a còmpiti gregari e subordinati, sempre più faticosi, nell’àmbito della tanto lodata famiglia.

La popolazione italiana va invecchiando, d’accordo. I demografi lo dimostrano; i sagrestani di molte chiese e tipi dal capello cortissimo hanno una gran paura che i giovani a venire cambino colore di pelle - la scuriscano, per intenderci.

Però pochissimi si prendono la briga di fare delle analisi approfondite delle statistiche demografiche. E dato che la lingua italiana, nel plurale dei nomi e degli aggettivi non contempla un “neutro” per così dire globale, ma soltanto il “maschile” nudo e crudo, ecco che si parla sempre e soltanto di anziani e mai di anziane. E perciò sono più spesso degli uomini sole e povere.

Non ho molta simpatia per gli slogan, ma da tempo mi è scappato di coniarne uno dal quale non riesco a liberami, non perché lo presuma incisivo, ma perché ne sono da tempo profondamente convinta. E cioè che le donne, specie se avanti negli anni, sono una maggioranza numerica ed una minoranza sociale.

È chiaro che sulla scia di quello che per me è un antico obbrobrio linguistico, s’impiantano gli sproloqui dei cosiddetti esperti. Bravissimi tutti, senza dubbio, ma all’esperienza dei quali manca una piccola cosa: il vissuto in prima persona. E così sproloquiando vanno avanti per categorie, sempre con quel famoso “neutro maschile”, col bel risultato di appiattire tutti/e in branchi di soggettività spersonalizzate e allineate sul piano inclinato che conduce al rimbecillimento.

Nessuno che abbia mai pensato al fatto che i bisogni e le possibilità (di autonomia, s’intende) sono diverse da un individuo ad un altro, e soprattutto dall’uno all’altro genere.

Gli esperti di cui dicevo, a un certo momento si sono accorti che questo appiattimento psicologico avrebbe avuto brutte ripercussioni sulla salute delle persone anziane, con notevolissimi aggravi finanziari per uno stato sociale, molto bello nella sua concezione d’impianto, ma finora molto mal condotto e gestito nella realtà dei fatti nel modo che tutti abbiamo sotto gli occhi.

Allora si è avuto il magnifico pensamento di sbattere sulle spalle della famiglia, o meglio, sulle spalle della o delle donne della famiglia i non autosufficienti. Ho visto e constatato di persona come, con tale pratica, da un povero disastro umano si riesca a costruirne in pochi mesi almeno un altro. Si parla di “amore” - benissimo. Ma senza un minimo di professionalità, non so quanto possa bastare.

Per quelli in condizioni alquanto migliori c’è la bella invenzione del volontariato: non quello che abbiamo praticato zitti zitti da giovani, con sorridente noncuranza, come una sana avventura dello spirito, ma quello organizzato e istituzionalizzato su cui si sono precipitati partiti, sindacati, parrocchie regolari e scismatiche. Tutti quanti sempre e soltanto con l’antica grammatica di cui vado ogni giorno dicendo.

Visto che il volontariato voleva andare più in là del puro e semplice soccorso, ma impiantare a freddo una filosofia morale, le teste pensanti dei predetti partiti, sindacati e parrocchie hanno inventato tante belle sezioni con tante belle sigle, per dare ai “nonnetti” l’illusione dell’autogestione. Balle! Si tratta sempre di organismi misti, e anche se vi si parla talvolta al femminile, sono creati sempre da quei tre organismi nati e cresciuti a struttura piramidale. E sul vertice di ogni piramide, guarda caso, sta appollaiato un ometto più o meno importante.

Molte “nonnette” - le tapine - abboccano. Non abbocchiamo noi che guai a chi ci chiama “nonne” senza esserci nipote, e che non ci fidiamo delle mistificazioni più o meno gratuite.

Mila Spini

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