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Blue sky
Regia di Tony Richardson

USA, 1994, con con Jessica Lange e Tommy Lee Jones
Recensione di Elena Fogarolo pubblicata in Miopia n.36, dicembre 2000, con il titolo Se lui non la tiene a freno
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Una locandina

Tony Richardson in Blue Sky indaga il carattere opprimente di entrambi i ruoli, maschile e femminile, raccontando una vicenda coniugale veramente insolita. Lui è Hank, un ingegnere che lavora per l’esercito, e che spesso viene trasferito da una base militare all’altra soprattutto a causa del comportamento della moglie. Lei è Carly, donna bellissima e sensuale. La coppia è così sintetizzata dalle due figlie ragazzine: “lei è pazza e lui è cieco”.

All’inizio del film assistiamo a uno di questi trasferimenti in una base nuova: li aspetta una casa prefabbricata, mal ridotta, mal posizionata. Lei ha una crisi di rigetto, non ne può più.

I due urlano un po’ tra di loro, e le figlie con la faccia da vittime dicono “ricominciano, ecco, ci siamo”. Entrambe le ragazzine pensano di avere dei diritti sui genitori, in particolare sulla madre, che dovrebbe essere una brava madre che non le fa soffrire.

Il padre ricorda loro che Carly è una buona madre, che ha sempre fatto in modo che si sentissero a casa propria. Ma mentre lui prepara la colazione e lei dorme ancora, le piccole giudicano, proterve ed infelici, il sovvertimento che si compie nella loro casa: non è lui, ma lei, che dovrebbe preparare la colazione.

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Carly (Jessica Lange) tra le vicine

Nella nuova base, Carly al primo momento è accolta dalle nuove vicine, più castigate e conformiste, come un soffio di aria fresca: a una di esse, lei che ama il trucco, insegna a truccarsi. E partecipa ad uno spettacolo organizzato dalle mogli degli ufficiali accolta dall’esclamazione “arrivano rinforzi”. Solo che ben presto Carly è giudicata “troppo”: troppo sexy, anzitutto.

Carly accetta il gioco erotico con la violenta mitezza e la generosità di un animale selvatico. Ama esibire il proprio corpo, ama danzare, ama sedurre.

Hank assiste a questi giochi in pubblico con sofferenza, però non sindaca, non corregge, non condanna la vita di lei: non pretende di deviarne la sessualità per esserne il solo fruitore. Ad una festa, lei lo invita a ballare ma lui si schermisce: non sa ballare.

Lei si cerca quindi un altro ballerino. Questo fa soffrire il marito, ma lo lascia del resto conscio di una sua inadeguatezza, dell’assurdità di imporre a lei il peso della propria malagrazia.

Se Hank interviene, è solo per proteggere Carly da se stessa. Ma i suoi interventi sono senza violenza. Anche quando - nel culmine di una festa - la prende in braccio e la scaraventa in piscina perché si raffreddi i bollenti spiriti.

Carly chiama il marito “papà”. Questo inizialmente può dar fastidio, ma poi ci aiuta ad identificarci con la fragilità di Carly.

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Esubaranza di Carly sulla spiaggia

Il film mostra un uomo che accetta di essere disonorato dalla moglie, che non pronuncia mai il liberatorio “no, vattene porca puttana”, che la comunità si aspetta da lui. Tutti, uomini e donne, sarebbero lì pronti a fornirgli un sacco di scuse, di autogiustificazioni, di motivi per ripudiare la moglie: “ne ha sopportate anche troppe, lei è una squilibrata, gli rovina il lavoro, lede la dignità dell’esercito”.

Ad Hank, di tutto questo non importa nulla. Il lavoro che egli svolge per l’esercito consiste nel far esplodere bombe atomiche sotterranee (contaminando la popolazione ignara) in risposta ai russi che fanno esplodere le loro. E’ un lavoro che gli ripugna e per il quale non si sente certo moralmente superiore alla sua esuberante moglie.

Così la grazia che lei gli offre, quel di più che lo purifica, quella vitalità in virtù della quale anch’egli è vivo, lui non la rinnega, non la baratta con una rispettabile posizione nella società degli uomini. In altri film un lavoro come quello del protagonista di Blue Sky sarebbe presentato come serio, importante, valoroso, eroico; e un impiego del tempo simile a quello di Carly come fatuo, irresponsabile, egoista, e chi più ne ha più ne metta.

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Hank (Tommy Lee Jones) con Carly

In Blue sky queste categorie vengono spazzate via: e se per entrambi, donna e uomo, viene mostrato il lato coercitivo, infelice del ruolo sessuale, traspare una preferenza per la leggerezza, per l’innocenza di lei.

Jessica Lange, che interpreta Carly, è molto efficace in questo ruolo archetipico di Afrodite inaddomesticabile, e il regista ne sa rendere la carica sensuale in modo abilissimo, senza ricorrere al solito uso del nudo e degli amplessi con gemiti. Basta e avanza il decolleté di Jessica Lange, che viene esaltato e come circonfuso di luce nel corso di tutta la pellicola; il decolleté e il viso, ovviamente.

Le due figlie, come già accennato, sono le piccole miopi censore della famiglia, conformiste e reazionarie come spesso sono i ragazzini. Temono l’anomalia, vorrebbero una mamma come le altre, che stia in grembiulino come le altre, che non compaia nelle ore non comandate in abiti scollati e provocanti.

Hank soffre invece a un livello intimo, personale. E’ una sofferenza non giudicante, basata su una profondità di sentire e su un’autonomia di giudizio silenziose, a cui attinge con parole misurate per far capire e accettare la madre-moglie alle figlie attraverso certe citazioni che egli fa della Bibbia, o certe argomentazioni di tipo scientifico, come quando la mamma e moglie viene paragonata all’acqua.

Hank è un esempio di rifiuto della viltà maschile consistente nell’assunzione - sotto pressione sociale - di una maschera misogina. Una sua viltà in questo senso sarebbe ben accetta e verrebbe chiamata “virilità”. Come già accennato sopra, gli si fa intendere che non è virile permettere a una moglie ninfomane di rovinargli la carriera. Lui non risponde a queste provocazioni. Da anni, come egli stesso dice, ha soppesato il suo dramma e lo ha accettato: non per vittimismo, ma perché ha saputo cogliere la grandezza del proprio destino, che è in definitiva Carly. La sensualità della coppia viene solo accennata. Il regista si ritira alle soglie del coito, non prima, però, di avere reso efficacemente la sensualità di Carly: un sorriso, un abbandono, uno sguardo d’accoglienza...

Il marito non isola quei momenti erotici dal fluire dell’esistenza. Non li trasforma in diritti acquisiti. Non crede di poter relegare la moglie in un harem in cui recarsi per succhiare di nuovo quel nutrimento dopo un tot ore. Egli sa che sua moglie è come l’acqua, non si può rinchiuderla a chiave. Egli sente che commetterebbe un crimine contro di lei se tentasse di toglierle arbitrariamente, per via di quattro volgarità da caserma (è il caso di dirlo senza metafore), la sua libertà, la sua ricerca. Poiché il film è un racconto e non un documentario, Carly alla fine, divina eroina in sella ad un cavallo, riesce con una singolare azione a salvare il marito: a tal fine usa astutamente la propria carica erotica per conquistare gli uomini dei media e schierarli contro quelli dell’esercito. Nella situazione di stallo che riesce in tal modo a creare, Hank viene liberato dalla clinica psichiatrica, dove era stato rinchiuso per farlo tacere. Dopo questo episodio, l’uomo lascia l’esercito.

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Carly con le figlie

Alle figlie, che si erano unite al coro che invocava per Carly quel comportamento repressivo che il loro poco patriarcale padre non era disposto a mettere in atto, non resta alla fine che accettare, per amore o per forza, la madre così come è: le pressioni esterne non bastano a spingere il loro giudizio fino al rifiuto; lo spazio, creato dal padre non giudicante, permette all’amore di svilupparsi oltre la meschinità dell’ambiente.

Il gioco tra questi quattro esseri che formano una famiglia, non è più un gioco familiare, anche se è esercitato all’interno di una famiglia. Il marito che non esercita la patria potestà, che non è vile, che ha il coraggio di un patimento senza parole, che sa essere diverso senza vittimismi e proclami, annulla di fatto la famiglia. Le scorribande sessuali di Carly non rappresentano che un inizio di libertà femminile: gli uomini che rispondono, all’inizio innocentemente, al suo fascino non hanno poi il coraggio - che il marito invece ha - di assumere davanti al mondo di essere stati affascinati, negano la relazione erotica, la fanno a pezzi, la infangano con gli stereotipi della puttana e della ninfomane. Carly paga per ogni avventura un prezzo troppo alto.

E’ evidente, quando vediamo partire i quattro nella macchina nuova verso il nuovo destino, che tale destino non potrà essere poi tanto diverso dal precedente.

A Carly, nessuno ha chiesto di cambiare. E’ lei che da sola dice “sarò diversa, sarò brava”, come una bambina che si sente in colpa.

Ma Hank sa che lei non può che essere che quella che è: che la sua fame erotica in qualche modo va soddisfatta, oggi come domani.

Carly non è una casalinga, come non lo può essere una cerva, una tigre. E l’uomo che ha accettato di convivere con lei, ha una fame di selvatichezza più alta, o forse solo più consapevole, dei suoi contemporanei.

Certo che ci si chiede: se avesse qualcosa di meglio da fare, Carly, sarebbe così? Quando si angoscia perché - come dice - è venuta al mondo e non ha combinato niente, cosa vuol dire? Si potrebbe anche leggere nel gioco sessuale esasperato di Carly uno sfogo al vuoto di una vita da casalinga della classe media.

Ma il regista ha voluto dire qualcosa di più.

Quando avanza sul cavallo, con addosso una maglietta nera che le lascia libere le splendide spalle e irraggia sensualità su tutto lo schermo, chi è Carly? E’ una dea?

Qualcosa del genere pensa di certo il marito, suo tormentato officiante.

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