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Mr e Mrs Bridge
Regia di James Ivory

USA, 1989, con con Joanne Woodward e Paul Newman
Recensione pubblicata in Miopia n.36, dicembre 2000, con il titolo Se lui la tiene a freno
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Una locandina

E’ la storia, ambientata negli anni ’40, di una coppia americana di ceto medio-alto, lui avvocato, lei casalinga. Vivono in una grande e bella villa suburbana, con i due figli ormai quasi adulti e una domestica di colore. Mrs. Bridge è malata di quello che Betty Friedan avrebbe chiamato “il problema senza nome”. Mrs. Bridge ripete spesso quanto è fortunata, con tutte le belle cose che ha; ma questa affermazione si infrange contro l’effettiva infelicità della sua vita, che la regia di Ivory ci mostra con straziante precisione.

I tentativi che la donna mette in atto per uscire da una condizione di soffocante isolamento vengono regolarmente troncati dai giudizi raggelanti del marito, che in sostanza le concede di fare solo ciò che è del tutto insignificante: come un corso di pittura dove le alunne sanno che nessuno si aspetta che loro arrivino da qualche parte.

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India (Joanne Woodward)
e Walter Bridge (Paul Newman)

Se Mrs. Bridge dà saltuariamente parola a voci profonde che l’attraversano, quelle voci, quelle sirene, sono regolarmente ricacciate negli abissi da cui provengono. Così se lei accenna a un interesse per la psicanalisi, lui le risponde che la psicanalisi è una cosa idiota, e che lei si fa metter su dall’amica “svitata”. Se lei, esasperata, gli dice di volere il divorzio, lui, tranquillo, le chiede se per caso non si sente bene, con una sicumera e un’arroganza che chiudono la questione sul nascere.

Lui pretende di insegnarle il mondo. Glielo insegna con le parole e con i toni di voce; con le sue impazienze, con i suoi fastidi, col suo annoiato disinteresse. Glielo insegna esibendosi in prove di coraggio che lo dovrebbero innalzare sui comuni mortali, come nell’episodio in cui, durante una festa, si rifiuta di rifugiarsi in cantina all’arrivo di un nubifragio, e lei si sente costretta, come moglie, a stargli accanto.

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Walter al Louvre

E’ lui che stabilisce i bisogni di lei, i limiti delle sue gioie: prenota per esempio un viaggio in Europa, facendole una sorpresa, ma il viaggio lo ha programmato sul proprio tempo e sulle proprie voglie. Li vediamo poi entrambi al Louvre, moglie e marito, percorrere le gallerie. Entrambi soli, uno da una parte e una dall’altra, presi da sogni ed emozioni in una provvisoria separazione delle menti, che la loro società considera lecite durante una vacanza in Europa.

Lo sguardo di Ivory si posa anche sugli altri rapporti di questo nucleo familiare, delineando il ritratto di una famiglia particolarmente disaffettiva.

In una memorabile scena, vediamo Douglas, il figlio adolescente, che, durante una cerimonia, unico tra i coetanei non riesce a baciare la mamma, come sarebbe previsto dal protocollo. Siamo di fronte a una famiglia in cui la comunicazione è eccezionalmente bassa, peggiore di quella di altri nuclei? Può darsi, ma non è da escludere che il regista abbia inteso evidenziare, nella scena in cui Mrs. Bridge è l’unica mamma a non essere baciata dal figlio, un momento che molte donne vivono, incluse quelle che nella finzione filmica sono state felicemente baciate: in altri momenti, anch’esse saranno rinnegate dal figlio o dalla figlia.

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Il figlio Douglas
(Robert Sean Leonard)
vestito da boyscout

Mrs. Bridge fa fronte all’umiliazione e al dolore che l’inibizione del figlio le ha causato, e tenta di cantare, come tutti gli altri, l’inno nazionale. La sua voce si spezza, riprende... Il marito non è un mostro di insensibilità. Il regista ce lo mostra silenziosamente sofferente davanti all’umiliazione della moglie e mentre tenta poi, goffamente, di riparare.

Un’altra scena vede ancora protagonisti la madre e il figlio. Il figlio durante il servizio militare si è fatto crescere i baffi, e a Mrs. Bridge quei baffi non piacciono. Vuole che il figlio si rada, ma non riesce a convincerlo. Allora si traveste da ausiliaria, irrompe nella camera del figlio allegra e baldanzosa, e qui, simulando una marcia militare e un linguaggio marziale gli ordina scherzosamente di tagliarsi i baffi. Il figlio è sconcertato, e la sua reazione inadeguata fa sentire la madre una volta di più stupida e fuori posto. Anche qui, si sente una riflessione che va al di là del singolo dramma messo in scena, e il pensiero va alla stolida convinzione di troppi figli e figlie che la propria madre non abbia corde comiche, e che in ogni caso non abbia il diritto di farle suonare. Qui, la madre ferita e respinta reagisce con furia: “sei come tuo padre!” (e si capisce bene come alluda ad una sordità tenace, a una durezza di cuore elevata a virtù, per cui lei ha sofferto decenni). Il figlio risponde “e a chi dovrei assomigliare se non a mio padre?”, con un tono di voce che vuol essere buono e ragionevole davanti alla debolezza, tutta da compatire, della mamma.

Questo film pulito, che non cerca assolutamente il morboso, apre parentesi di verità dette assai raramente: come nell’episodio in cui Mr. Bridge si eccita vedendo da una finestra la figlia che in giardino prende il sole un po’ discinta, e scarica poi l’eccitazione sulla legittima destinataria, la moglie, che prende in modo rozzo, quasi uno stupro. Verso la fine del film l’amica di Mrs. Bridge, la “svitata” che le aveva parlato della psicanalisi, si uccide. Era, nell’ambiente dei Bridge, la donna che meno era riuscita ad accettare la sua condizione, quella che aveva più parole per contestare, pur senza effetti concreti, il mondo patriarcale in cui si trovava a vivere.

Alla morte di questa donna, i pensieri di Mr. Bridge sono tutti di solidarietà per l’altro marito, e di critica per l’ingratitudine di una donna che non ha saputo godere di quel che le veniva dato, rovinando la vita propria e quella degli altri. Mrs. Bridge, che dalla morte dell’amica è stata sconvolta, non sa che subire in silenzio le dure parole del marito, che la sospingono ulteriormente nella solitudine.

Alla fine del film vediamo Mrs. Bridge che, uscita di casa, rimane bloccata nell’auto mentre sopraggiunge una tempesta di neve. Sembra destinata a morire di freddo, e invece viene salvata, per continuare una vita piena di freddo, tra piccoli atti di filantropia, un gioco di carte, un suggerimento alla figlia che non sarà ascoltato, la lettura di un libro consigliato da qualcuno. Se all’inizio del film la protagonista dice “ma ti rendi conto? non saprei neanche scegliermi un libro da leggere”, alla fine della vicenda non ha ancora imparato a scegliersi i libri. Ma gli occhi lucidi e brillanti rendono testimonianza di un coraggio, di una vitalità che tutti conosciamo benissimo perché sono stati delle nostre madri, zie, nonne, conoscenti.

Joanne Woodward e Paul Newmann, che interpretano rispettivamente Mrs. e Mr. Bridge, sono compagni nella vita. Ottima la prova di Newmann, che nel film sembra si sia molto ispirato a se stesso, investigando con intelligenza la sordità emotiva maschile. Straordinaria l’interpretazione di Joanne Woodward, attrice di successo prima del matrimonio con Newmann, e per la quale Mr. e Mrs. Bridge ha rappresentato un rientro professionale sporadico.

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