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Le acrobate
Regia di Silvio Soldini

Italia 1997
Con Valeria Golino e Licia Maglietta
Recensione di Elena Fogarolo pubblicata in Miopia n.34, Luglio 1999. (Estratto).


 

Una locandina
Una locandina

E’ una favola, sicuramente, ma importa? Passato per poche sale cinematografiche, è arrivato in TV in prima visione su Rete 4, in seconda serata.

Eppure è un film cosi gradevole che certamente molte donne lo avrebbero volentieri visto in ore più canoniche.

Come ogni storia d’amore che si rispetti, comporta iniziazione, sommovimento, cambiamenti d’orizzonte.

Elena (interpretata da Licia Maglietta), che fa il chimico a Treviso presso una ditta di cosmetici, investe casualmente Anita, donna di età avanzata che vive in modo anarchico, ha una casa disordinatissima e abbigliamento da barbona. Da Anita Elena resta attratta, ma il legame si spezza presto perché Anita muore. Elena va al funerale, si accolla le spese del loculo. Smistando le carte della morta crede di aver trovato un filo, qualcuno che conosca Anita, che le sveli il mistero.

Va quindi a Taranto, dove abitano gli sconosciuti che scrivevano ad Anita.

Ma a Taranto ci sarà solo una donna che di Anita sa meno di Elena, una che con Anita ha trascorse insieme una notte in traghetto: da quella volta si erano scritte, lei e Anita, una volta all’anno.

La donna di Taranto è Maria, interpretata da una Valeria Golino ben sorretta da una sceneggiatura precisa nel delineare un mondo in bilico tra il decoro piccolo borghese e lo sfascio dei derelitti.

Il primo incontro tra Elena e Maria sembra un fiasco completo: Maria non sa niente di Anita e per giunta è diversa da Elena. Non sanno che dirsi. Navi che si sfiorano nella notte...

Ma non finirà così.

Teresa (Angela Marrafa), Elena (Licia Maglietta) e Maria (Valeria Golino)
Teresa (Angela Marrafa), Elena (Licia Maglietta)
e Maria (Valeria Golino)

Qualcosa smuove entrambe e una cartolina raffigurante tre statuine del museo archeologico di Taranto, le acrobate appunto, fungerà da catalizzatore.

Maria andrà a vedere le statuine al museo, con la figlioletta, in segreto.

Da questo gesto di rottura con il suo mondo simbolico, ne nascono altri: un viaggio favoloso verso il nord, a vedere Elena, che è laureata, che fa “la scienziata”, come dirà favolosamente Maria alla figlia.

Teresa, la bambina, è strana, la maestra è scontenta. Ma Elena, riconoscendo nel comportamento della bambina se stessa a quell’età (i primi esperimenti, la curiosità infinita), dà alla madre una chiave diversa per interpretare la figlia.

A Treviso la delusione della bambina è totale: il paesaggio piatto che circonda la città non rappresenta il nord che lei si è immaginato, con il Monte Bianco che vi troneggia.

Per accontentare la bambina le due donne partono, con una macchina scassata, verso il Monte Bianco. Sulle pendici del monte, scavando la neve, la bambina penserà soddisfatta di aver trovato un degno posto per seppellire un suo dentino caduto.

Fine.

 

Non vi sono grandi gesti fra le due donne, tutto è lasciato ai visi: che si illuminano sorridono si protendono si rilassano. Le attrici sono bravissime e la struttura rigorosissima del film le conduce attraverso parole inflessioni occhiate antichissime, che non accade quasi mai di vedere rappresentate.

Benedetto sia anche il finale positivo, "non" alla Thelma & Louise.

Le immagini delle statuine delle acrobate forse sono state introdotte un po’ troppo a forza, la sceneggiatura qui è un po’ manchevole, c’è qualche lungaggine, eppure si perdona tutto per la luce che irradia nel film da questa sorta di pertugio simbolico.

Le statuine che volteggiano, che danzano, che rischiano, rappresentano sì le due protagoniste ma inducono a far riposare la nostra gioia in una consapevolezza più grande di qualcosa che è sempre stato.

L’amicizia femminile, dalla vecchia Anita fino alla bambina Teresa, è il tema forte del film. Ma sotteso a questo, c’è un messaggio più forte ancora: di solito siamo inondate da donne che lustrando di più la casa, lustrando di più i figli, lustrando di più il marito, fino al martirio, ottengono che le cose si aggiustino.

Maria ed Elena al contrario lasciano tutto, non lustrano nulla, vanno in un pellegrinaggio apparentemente senza senso, stabilito dalle fantasie di una bambina.

La rottura con la situazione antica porterà, ha già portato, qualcosa di nuovo: ottimismo, crescita, forza.

Seppellimenti di gatti, imprevisti scandalosi amori per donne vecchie brutte e sporche, dentini di bambina che cadono, trasferimenti in un’altra fabbrica, rapporti coi maschi che possono avere altri ritmi, tutto viene mescolato senza gerarchie stabilite da altri.

La lettera che Maria scrive a Elena “senza rileggerla” per paura di non avere più il coraggio di spedirla; l’espresso che Elena spedisce di rimando a Maria e che Maria si mette a leggere subito lì, davanti alle cassette postali del condominio... come non pensare che si assiste alla rottura della maledizione che cosi bene cantò Emily Dickinson sulla lettera scritta al mondo "che mai scrisse a me"?

E.F.

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