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Giovanni Verga

Tutte le novelle

Oscar Mondadori, 1982

Le novelle di Verga furono pubblicate in riviste o in raccolte parziali tra il 1874 e il 1922 (anno di morte dello scrittore)

La raccolta completa può essere scaricata gratuitamente dal sito www.liberliber.it in vari formati leggibili da computer




Il guaio è che non siamo ricchi, per volerci sempre bene. Le galline quando non hanno nulla da beccare nella stia, si beccano fra di loro.

(Dal racconto Pane nero)


Giovanni Verga
Giovanni Verga

In questi anni di crisi economica, quante volte mi sono venuti in mente frammenti dei racconti di Verga.

E quante poche volte l’ho invece sentito citare.

E sì che si tratta di uno scrittore vicino, il cui linguaggio è una mescolanza sapiente di italiano e dialetto, facilmente comprensibile e godibile. E qui scrive una persona che non ha nessun “pollice verde” per i dialetti.

Giovanni Verga è nato a Catania nel 1844 ed è morto nel 1922, sempre a Catania. La famiglia possedeva terre a pochi chilometri dalla città, in località Vizzini.

Casa natale di Verga a Catania
Casa natale di Verga a Catania

Il ragazzo borghese (una famiglia nobile decaduta ci sta sempre bene) ha bevuto come un assetato al giardino dell’eden di un’infanzia selvaggia, tra il mare e l’Etna, circondato dai coetanei campagnoli. Ne ha imparato la lingua e poi, crescendo, ha imparato la distanza che c’era tra loro che erano poveri e lui che, pur non essendo molto ricco, non aveva la miseria che lo tallonava così dappresso.

La vita di Verga non sembra essere stata felice. Forse non può esserlo la vita di uno che fa lo scrittore di professione e non ha un grande successo.

Alcuni dei suoi contemporanei lo apprezzano ma Malombra di Fogazzaro, che esce insieme a un suo libro, ha molto più successo. Per non parlare degli anni più tardivi: davanti all’astro nascente di un D’Annunzio, Verga torna nella sua Catania e lì si fermerà fino alla morte. Bisogna anche dire che casa sua non è una bicocca

Biblioteca di Verga nella casa-museo
Biblioteca di Verga nella casa-museo

Verga ci ha lasciato una cassa di gioielli, da sfruttare negli anni della formazione scolastica e in seguito. Nella buona e nella cattiva sorte. Nella buona, per provare compassione verso chi è meno fortunato di noi. Nella cattiva sorte, come in questo periodo economicamente difficile, per ricordare, per andare avanti, per soffrire insieme alle generazioni precedenti.

Uno scrittore vicino, moderno, con uno stile rapido che può incastrarsi magnificamente con l’abitudine odierna alla velocità del messaggio visuale: le novelle del Verga sono brevi, essenziali. La gente si ammala, muore, i funerali portano via i pochi soldi risparmiati, i giovani si affaticano, se gli va bene riescono a risparmiare altri soldi, pochi ma sufficienti per innamorarsi e fare progetti, la breve festa della vita dei poveri, le lenzuola bianche come paradiso e sogno delle ragazze da marito, che hanno il loro bravo corredo, i loro bravi vestiti nuovi per far perdere la testa a un ragazzo.

Veduta di Vizzini
Veduta di Vizzini

E poi si sposano e mettono al mondo altri figli, e le disgrazie si accaniscono di nuovo, la felicità dura il tempo del corteggiamento e poco più, poi qualche malattia, i soldi spesi in medicine, il marito che si prende le febbri dove si guadagna di più, e il ciclo del dolore ricomincia.

Circa cinquant’anni prima, un ragazzo marchigiano celebrava il breve sabato, la breve gioia dei suoi amici poveri. Solo che Giacomo Leopardi è un poeta, e i ragazzi davanti alla poesia nicchiano, si tirano indietro. La poesia non è proprio di moda!

Ma Verga? Sembra un telefilm!

Ecco Jeli il pastore.

Jeli è amico di Mara, quando sono bambini. Poi si perdono di vista, da bambini neanche sapevano che lei era un pochino più ricca di lui e che, appena ragazza, si sarebbe fidanzata con uno del suo ceto o anche più ricco, perché lei è tanto bella...

Dintorni di Vizzini
Pastore a Vizzini

Così bella che attrae il padrone di tutto, quasi un dio, che era stato bambino insieme a Jeli e Mara, e che era stato persino loro amico.

Il fidanzamento va a rotoli, Mara è disonorata.

La famiglia di lei pensa a una sistemazione più modesta per la ragazza: Jeli è un povero pastore ma è un buon ragazzo e a lui pare impossibile che la Mara sia sua sposa. Lui sta al freddo, nei pascoli lontani, e pensa a Mara con le sue grazie riparata nella loro casetta, e gli si scalda il cuore.

Quando torna a casa, e lei ha per lui le attenzioni che toccano a una moglie... che potrebbe volere di più, Jeli?

Alla fine però lo viene a sapere, che il signor Alfonso, l’antico amico, è l’amante della Mara. E quando, dopo aver ucciso il rivale, le forze dell’ordine portano via Jeli, in galera, lui è persino sorpreso: ma se quello gli aveva rubato la Mara! L’anima di tutta la sua vita!

Qui l’omicidio distrae dallo stillicidio della fatica quotidiana, come se – qualora non ci fosse stato il tradimento di Mara – la vita sarebbe scorsa su un letto di rose...


Prendiamo adesso una novella senza colpi di scena, dura e cruda.

Prendiamo Nedda.

Fotografia eseguita da Verga
Fotografia eseguita da Verga

Nell'ultima fase della sua vita Verga si dedicò anche alla fotografia, cui applicò i principi del verismo

Nedda è una ragazza poverissima, accetta tutti i lavori, anche se ha il cuore spezzato: la mamma, l’unico amore e legame della sua vita, sta morendo. Per cui il sabato di notte torna a casa. Ha un po’ di paura, è una notte buia: ma come non tornare?

Torna e fa a tempo a congedarsi dalla morente, a spendere gli ultimi soldi fra le ultime medicine e l’estrema unzione... e via verso un nuovo lavoro.

Adesso che non ha più la mamma malata a carico, Nedda riesce a fare qualche piccolo risparmio. Si compra un vestito, non è più una ragazza coperta di stracci.

Un vicino la corteggia. Le regala persino un grande fazzoletto con delle rose “che si sarebbero mangiate”.

I due innamorati vanno a lavorare nello stesso luogo. E sui prati si congiungono. Lui la vuole sposare, la Nedda: non la vuole lasciare nei pasticci. Ma si prende la malaria, con la febbre sale su un albero, cade e il giorno dopo è morto.

Nedda con la sua vergogna si chiude in casa, dove infine da alla luce una bambina.

Una bambina come lei! Che soffrirà come lei! No, non la mette sulla ruota, non l’abbandona... che soffra il più tardi possibile... piuttosto che muoia tra le braccia della sua mamma che, essendo affamata, non ha latte. E che davanti alla bambina morta , deposta sullo stesso letto dove era morta la propria madre, erompe in un canto biblico:

– Oh! benedette voi che siete morte! esclamò – Oh benedetta voi, Vergine Santa! che mi avete tolto la mia creatura per non farla soffrire come me!

Borgo della Cunziria
La Cunziria, borgo artigianale ottocentesco presso Vizzini che servì a Verga come ambientazione


Lette nelle scuole dell’obbligo e riprese alle superiori, queste novelle non farebbero di noi un popolo di economisti. Ma, insieme ad altre letture condivise, diventate proverbi, antica sapienza, potrebbero aiutarci a essere gente meno disposta a seguire il piffero di dannazione di turno.



Perché è così poco diffuso, lo studio del Verga?

Per una ragazza incinta? Per qualche prete poco religioso? Ma via!

Dobbiamo tornare a quella fame, a quel freddo, a quella miseria... toccare quello che siamo... tornare a rispettare tutto quello che, pur se manchevolmente, ci ha aiutati a uscire da quell’incubo. Democrazia, religione, sindacati, scuole, ospedali, farmacie libri tecnologia e tutto il resto... cose umili, da difendere senza fanatismi, senza paroloni: senza la musica del piffero di perdizione possiamo tornare a valutarne l’importanza.

Elena Fogarolo

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